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Eur, Foro Italico, Aprilia Il dipinto è architettura

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Ecco le celeberrime «Piazze d'Italia», alla cui ideazione - com'è stato dimostrato - dovette peraltro influire non poco il ricordo di Monaco, la città dove il pittore, assieme al fratello, risiedette dal 1906 al 1909, in un periodo di fondamentale apprendistato. La suggestione delle «Piazze d'Italia» consiste in una singolare associazione di retaggio classico e di presenze incongrue; di torri e timpani e lunghi edifici porticati che stampano a terra ombre dense ed enigmatiche; nell'assenza di figure umane, in alti silenzi, in una indefinibile sensazione di attesa, di sospensione, di straniamento. Circostanza singolare, un ventennio dopo che erano stati dipinti, gli scenari e le atmosfere urbane delle «Piazze d'Italia» vennero fatti propri dalle architetture del '900 italiano: dal Déco milanese di Muzio al Foro Mussolini di Del Debbio e Moretti, dalla rarefatta eleganza delle realizzazioni razionaliste, all'essenzializzato lessico monumentale di Piacentini, per culminare con i davvero metafisici scenari originari dell'E42, l'attuale Eur: il Palazzo della Civiltà Italiana di Guerrini, La Padula, Romano; il Palazzo dei Congressi di Libera; le esedre simmetriche di Paniconi e Pediconi. Senza trascurare le bianche architetture dei nostri territori d'Oltremare, e i centri urbani fondati negli anni Trenta, con al primo posto le «città nuove» della bonifica pontina. In quest'ultimo caso, si dava un ulteriore motivo di affinità: de Chirico, per accrescere l'impressione di sorpresa nell'osservatore, aveva ideato le sue città metafisiche come piazze monumentali, senza un semicentro retrostante, a diretto contatto con la campagna: proprio come avveniva nelle città di fondazione. Ad esempio, le fotografie di Aprilia appena costruita ci offrono un'analogia addirittura impressionante con i quadri dechirichiani: vera e propria Metafisica Costruita, uscita dai quadri e realizzata in pietra e mattoni. A questo punto viene spontaneo chiedersi se gli architetti si fossero ispirati agli scenari urbani delineati da de Chirico. Conferme dirette di tale discendenza non esistono, anche se certamente almeno alcuni di essi conoscevano di prima mano i dipinti dechirichiani. Semmai, a giustificare una così sorprendente affinità, converrà far ricorso a quello che i tedeschi chiamano zeitgeist, lo «spirito del tempo», quell'arcano confluire, in un determinato periodo, di percorsi culturali che possono avere avuto anche gestazione diversa. Tanto più che, nel nostro caso, comune è, per la pittura e l'architettura, un'istanza fondamentale, quella di interpretare un processo di drastica semplificazione formale del repertorio architettonico classico. Nel dopoguerra alcuni importanti architetti avrebbero invece guardato, dichiaratamente questa volta, agli scenari urbani dipinti tanti anni prima dal Pictor optimus ed entrati ormai nel mito della cultura del '900; così essi sono stati tra i motivi ispiratori del nostro Postmoderno. Un'importante mostra aperta a Merano (fino all'11 gennaio) nel Palazzo della locale Cassa di Risparmio, «Meta.fisica. Arte e filosofia da de Chirico all'Arte Concettuale», affronta, tra altri, il tema del debito culturale contratto con gli scenari architettonici della Metafisica da uno dei maggiori architetti dell'Italia del secondo '900, Aldo Rossi.

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