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di GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI «I PARROCI mi dicono che al catechismo arrivano bambini che ...

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Non aveva assolutamente l'intenzione di fare una battuta, il cardinale Dionigi Tettamanzi, quando ha presentato pochi giorni fa la sua prima lettera pastorale. Con quell'esempio, invece, voleva mostrare quanto fosse arrivata in profondità la crisi della trasmissione della fede. Che oggi è, ha affermato l'arcivescovo di Milano, il «caso serio» della Chiesa. A partire dall'Illuminismo, e specialmente nell'epoca moderna, per la Chiesa è diventato un problema trovare le parole giuste per annunciare il Vangelo, per parlare di Cristo agli uomini. Ma, fino a un passato non lontano, c'era almeno un sistema che funzionava. Sacramenti e devozioni erano ancora strumenti efficaci per gestire i «bisogni» religiosi, e plasmare le coscienze cristiane. Il sacro aveva una importanza centrale nella vita della comunità, nella parrocchia. Ma poi anche questo è saltato. La società si è sempre più laicizzata, secolarizzata, favorendo il relativismo morale, la soggettivizzazione della fede. Così, la vita personale e collettiva s'è andata via via sviluppando a prescindere dalla tradizione e dai valori cristiani. E anche il credente, sotto la pressione dell'ambiente, ha cominciato ad uniformare scelte e idealità ai comportamenti degli «altri» che gli vivono accanto. A questo punto, si capirà meglio perché Tettamanzi sia stato così duro nella sua denuncia. Ha parlato di «neopaganesimo», di «apostasia silenziosa», di «scristianizzazione». Comunque - ed è forse la prima volta che ciò accade - non ha incolpato solo la società secolarizzata del fallimento di una certa trasmissione della fede, ma ha messo in discussione il modo stesso in cui la Chiesa comunica oggi il Vangelo, e i «mezzi» che essa usa. Certo, può meravigliare che la gerarchia ecclesiastica arrivi in ritardo a scoprire fenomeni (come i bambini incapaci di farsi il segno della Croce) che catechisti e operatori pastorali conoscono da tempo. Ma è già importante che un autorevole esponente di questa gerarchia abbia «pubblicizzato» gli aspetti più gravi della crisi: l'abbandono dei giovani dopo la Cresima, il calo dei partecipanti alla Messa, la superficialità con cui talvolta vengono dati i sacramenti, il clima di «concorrenza» tra i nuovi movimenti, e così via. Niente da sorprendersi, perciò, se l'annuncio del Vangelo lascia appena una traccia nella vita di tanta gente. Se continua ad allungarsi la distanza tra le norme del magistero della Chiesa e la condotta morale dei cristiani. Se si sta diffondendo una spiritualità a buon mercato, quella del fai-da-te, o, peggio, un analfabetismo religioso che fa impressione. Ma allora, che cosa fare? Quale linguaggio usare, perché venga non solo compreso ma recepito, e si traduca poi in una autentica testimonianza cristiana? Per la verità, risale al 1970 il documento di base sul rinnovamento della catechesi, e che avrebbe dovuto segnare il passaggio da «catechismi per la dottrina cristiana» a «catechismi per la vita cristiana», pensati come dei percorsi formativi. L'annuncio, anziché trasmettere solo delle conoscenze, avrebbe dovuto aprirsi alle domande di quanti si avvicinano alla fede. E dunque, non più solo ai piccoli, ma soprattutto agli adulti, e in particolare ai genitori, sempre più latitanti nella educazione religiosa dei figli. Ebbene, perché tutto questo non è stato tentato, o è stato realizzato solo parzialmente? Si afferma che, una volta avviato il rinnovamento, non c'è stato un contemporaneo cambiamento di mentalità, di volontà: i catechismi hanno continuato ad essere usati più o meno come prima. A conferma che, pur decretata dal Concilio, la riforma all'interno della comunità ecclesiale dev'essere ancora portata a compimento. E poi, è venuto il momento per la Chiesa di riprendere il confronto con la modernità. Potrebbe scoprirvi nuove insospettate potenzialità - specie attraverso il recupero di un'esperienza religiosa più attenta al fatto antropologico, alla vita concreta dell'uomo - per annunciare il Vangelo in un mondo che radicalmente mutato.

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