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Padre e figlio a confronto

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UN padre e un figlio, in un paesino sul Gran Sasso. Il padre rimasto senza lavoro per la chiusura della fabbrica, entra in crisi, specie quando la moglie lo abbandona andando a lavorare a Pescara. Il figlio per un po' lo assiste poi raggiunge la madre che gli ha trovato lavoro in un ristorante. Qui conosce una giovane cameriera che soffre di crisi di panico (non può salire su nessun mezzo di trasporto), lui, che se ne sta innamorando, l'aiuta a guarire, contemporaneamente, però, è raggiunto dal padre incapace di star lontano dalla moglie. Dovrà aiutare anche lui, riuscendo, dopo molti affanni, a fargli accettare la situazione. E finalmente libero di pensare a sé stesso, affronterà la vita. E l'amore. La storia non è così compatta e conclusa come quelle che Gianluca Maria Tavarelli si era scritto, sempre con Leonardo Fasoli, per gli altri tre suoi film, «Portami via», «Un amore», «Qui non è il paradiso». Però, specie quel rapporto padre figlio in cui sono quasi invertite le parti, perché il primo ha bisogno di protezione e l'altro è protettivo, è svolto con accenti incisivi, riservando spazi attenti al disegno dei caratteri dei due e alle loro reazioni attraversate spesso da sapori autentici. La cornice di una Pescara estiva in riva al mare è invece un po' convenzionale e così gli altri personaggi attorno, compreso quello della ragazza nonostante la singolarità delle sue crisi. Ma i climi cui l'azione è affidata sono plausibili e in cifre visive non avare di pagine coinvolgenti (la chiusura della fabbrica, il suicidio di un operaio). Elio Germano è il figlio, con modi risentiti, Luigi Maria Burruano, il padre, mestamente dignitoso. G. L. R.

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