Caro Nantas ricordi quando ero geloso di te?
«Voglio intervistarti — gli dissi — per festeggiare i tuoi ottant'anni». Si impermalì: «Non è un merito avere ottant'anni — bofonchiò — se vuoi scrivere, scrivi qualcos'altro, compleanni a parte». Poi mi cito. Io che sono un pochino meno giovane di te, ho dato una gran festa al Circolo degli Scacchi per i miei settant'anni, c'eri anche tu, c'era Gianni Letta, ma, di recente, ho tenuto segretissimi gli ottanta. Su Retequattro, per caso è a un'ora di scarsi ascolti, se ne sono ricordati e mi hanno fatto gli auguri, per fortuna, però, caduti nel vuoto e nel silenzio. Ottima cosa, perché poteva subito esserci qualcuno che diceva, anche apertamente: «Ma come?, ancora qui? Ma perché non si fa da parte, lasci il posto a qualcun altro?». Del resto, l'estate scorsa a Venezia, Luciano Emmer, che è molto ma molto meno giovane di me, fingendo di stupirsi, mi ha detto: «Sei ancora vivo?». Venezia Nantas. Prima che io ci andassi a dirigere la Mostra del Cinema e poi anche la Biennale, tu sei stato il primo veneziano in cui mi sono imbattuto. A Via della Stelletta (Il Tempo aveva lì la sede), seduto su un tavolo (eri troppo intraprendente per accontentarti di una sedia) una camicia rosa, dei pantaloni azzurri. La prima chiacchierata, quando andavi in barca all'isola di San Servolo per vedere, attraverso le inferriate che la proteggevano, una giovane pazza con cui avevi intrecciato un rapporto amoroso muto e a distanza. Poi, siccome per te (come per me) vivere vuol dire scrivere, mi arrivò di leggere qui su Il Tempo quella tua chiacchierata diventata un elzeviro prezioso. Lodato, lodatissimo da Renato Angiolillo che giurava per te. Persino troppo, tanto che, una volta, non trovandomi al telefono, fece scrivere a te il ricordino di Corinne Luchaire. Informato, arrivai di corsa e mi proposi, con l'affanno, di scriverlo io. Angiolillo, che capiva sempre tutto, acconsentì, però poi aggiunse: «Comunque, Rondi, non sia geloso». Sì, Nantas, ero geloso di te. Gian Luigi Rondi