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di ALBERTO LOMBARDO IL GRANDE revival di Tolkien.

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Insomma, i grandi ideali al posto del «pensiero debole» caratterizzano l'offerta letteraria attuale. Ne parliamo con Giuseppe Conte, scrittore e poeta (il suo «Il terzo ufficiale» ha vinto nel 2002 i Premi Hemingway e Lucania). Conte, la chiave della suoi libri sta nel grande rilievo dato al mito. Perché? «Quando mi sono affacciato sul mondo della creazione letteraria mi sono trovato davanti un mondo isterilito, senza dèi, senza passioni, senza fede, senza colore, tutto ideologia e sociologia. Il mito mi è apparso come una forma di conoscenza che riporta il brivido del sacro nella realtà. Non le dico quanti nemici mi sono fatto parlando di queste cose negli Anni Settanta». In che modo ci si deve avvicinare ai miti? «Non con spirito da archeologi della cultura, ma sapendo subito che i miti vivono ancora nella nostra psiche, nell'anima. Bisogna reimparare a vedere Venere e Diana, Apollo ed Ermes nelle pieghe della vita interiore. Ogni nostra pulsione, sogno, desiderio ha il nome di un dio. La realtà ritorna sacra, intatta e splendida come la vedevano i Greci, e nello stesso tempo buia e tragica, come sempre i Greci la vedevano. Poi bisogna andare a caccia di simboli e miti fuori dal nostro pantheon. Io ho cercato, e amato, miti aztechi, etruschi, celtici, indù. Tutti i miti si collegano, come trama spirituale archetipica dell'umanità». Ma qualunque tradizione religiosa può soddisfare la nostra sete di trascendenza? «Io amo tutte le tradizioni spirituali e religiose. E credo come Joseph Campbell, il grande maestro della mitologia comparata, che al loro fondo tutte le religioni siano vere. Naturalmente intendo per religioni quelle che hanno una tradizione spirituale e culturale e popolare alle spalle, il Cristianesimo, l'Islam, l'Induismo, non le sette avventizie inventate da qualche predicatore improvvisato e mercificato. Anche il mito ha un fondo religioso, anche la poesia. Il bisogno di sacro è fondamentale. La trascendenza potrebbe persino essere rifiutata, ma il bisogno di sacro, di irruzione del divino nell'umano resterebbe». Le pare che nella letteratura contemporanea ci si stia riappropriando di una dimensione mitica? «Oggi il mito è tornato ad affacciarsi nella riflessione dei filosofi e nella pratica degli artisti e di alcuni scrittori. Restano moltissimi che si accontentano della miseria della realtà comune, c'è persino gentaglia che va contro ogni sogno di riscatto etico dell'umanità. Ma parlare di miti non è più interdetto. Sostanza mitica ha la poesia lirica del maggiore poeta europeo vivente, Yves Bonnefoy, sostanza mitica ha la poesia del maggior poeta arabo vivente, è Adonis. Al mito ricorre certo nuovo romanzo americano». Come può essere rivisitata la figura dell'eroe? «Il Novecento aveva scelto la retorica dell'antieroe: e i pavidi e i profittatori ci hanno campato su una vita, rimestando quel detto di Brecht che sono felici i popoli che non hanno bisogno di eroi. Oggi la figura dell'eroe è cambiata, ma tornata alla ribalta. Anche la rinascita del romanzo storico si spiega con la volontà di riflettere ancora sugli uomini il cui destino fu quello di gettare luce sugli altri. Il mito fonda la realtà? «Fonda la scienza, la storia, la vita psichica, la religione, l'arte. La realtà non è che una sua pallida, ma necessaria, a volte dolce a volte terribile copia».

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