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Saffo, ricordi sul ciglio della rupe

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Indecisa tra vita e morte, la protagonista rievoca amori mancati e vissutiIl tema che ispirò il celebre canto del recanatese diventa spunto per un romanzo in bilico tra referto e verso Qui però il dolore viene alla fine riscattato dall'a

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«Il salto di Saffo» è il titolo che traduce «Sappho's Leap» dell'originale, e sicuramente rappresenta la prova più matura e compiuta della romanziera che pure vanta opere di grande rilievo. Il nostro poeta di Recanati aveva dedicato alla poetessa uno dei più struggenti canti, nel maggio del 1822, in una stagione di grave crisi interiore anche per il fallito tentativo di fuga dalla casa paterna che generò i versi dell'Infinito, qualche anno prima. Con una differenza di fondo dalle conclusioni di Erica: Giacomo coglie Saffo sul ciglio della rupe di Leucade, e nell'ansia del gesto orribile del suicidio l'accompagna nel suo volo, perché «arcano è tutto fuor che il nostro dolor», raccogliendo così quella tradizione della bruttezza fisica della donna che consente al nostro poeta di riflettere su quanto conti un «disadorno ammanto», un corpo deforme, nella vita umana. Preambolo necessario per filtrare entro gli incavi segreti del romanzo di Erica Jong, ricco di luci e di ombre, di fascinazioni e di cadute profonde nello sconforto per una vita ritenuta passiva, per gli amori segreti e anomali, per quel delirio di passione d'amore che l'ha avvinta per la vita, e le ha dato la morte, almeno secondo la tradizione non raccolta dalla Jong. Il romanzo è preceduto dalla più affascinante cartina geografica che si possa immaginare, l'arcipelago greco con la miriade di isole cariche e sottese di storia e di poesia, prima che il lettore si immetta nella irripetibile avventura della conoscenza: siamo sul ciglio della rupe di Leucade e Saffo è decisa, nessun dubbio la persuade, l'amore incorrisposto per il giovane Faone, bellissimo, dà slancio all'ansia di morte, ma la prospettiva dell'immortalità fra i grandi lirici del suo tempo e della sua stagione, Mimnermo, Alceo, Teocrito, Alcmane e tante altre memorabili figure, gioca anch'essa un ruolo fantastico e decisivo. Erica la coglie sulla cima del monte con tutti i suoi dubbi tremendi di donna «terribilmente vecchia»: le donne tranquille e poco inquiete muoiono di parto a diciassette anni, solo le streghe muoiono a questa età, che poi sono solo cinquant'anni di una intensa vita. Si apre così il lungo monologo che condurrà la donna alla salvezza, al recupero della vita proprio nel momento in cui la tragedia d'amore non ha più uscita sicura. L'estrema risoluzione è incontrare la morte, l'unica forza negativa in grado di vincere la vecchiaia, resa ancor più turpe dal confronto, dalla sfida con il meraviglioso Faone. C'è tuttavia ancora un rito da svolgere, e sarà quello decisivo: evocare il passato, tuffarsi con l'anima nel grande mare della memoria, a caccia di un lenimento che la Saffo della Jong vive come una sorta di àncora cui disperatamente aggrapparsi: ecco allora il rapporto luminoso e scioccante con la schiava Prassinoa, l'amore per Alceo, il tentativo compiuto con lui di abbattere il tiranno Pitacco: insomma i risvolti esaltanti di una vita interiore che conduce verso strade diverse dalla rinuncia a vivere. Le avventure d'amore che la spingono fino in Egitto dalla sacralità di Delfi, nella terra delle Amazzoni, ai confini stessi dell'Ade. Il ritmo evocativo di una così intensa vita, tutta calata nella trama suggestiva del verso — qualche poema, fantastici frammenti giunti fino a noi slabbrati dal tempo, dalle rovine della Storia — fortemente saldato alla più convincente forza risolutrice della memoria, spingono Saffo a desistere dal duro proposito: vince l'immaginario sul gesto improbabile, vince su tutto l'idealità struggente del verso, testimonianza

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