«I poteri forti» di Monica Setta: 50 italiani che contano. In anteprima il capitolo su Geronzi
Divani, arazzi, cornici e pezzi d'epoca — compresa una Madonna che viene attribuita a Michelangelo — farebbero la gioia di antiquari e collezionisti. Ma in mezzo a tutto questo lusso convenzionale, patrimonio di quasi tutte le banche italiane, Cesare Geronzi, classe '35, dal 1995 leader indiscusso della Banca di Roma — ora Capitalia — dopo vent'anni di carriera in Banca d'Italia, si muove un po' a disagio. La sua figura fasciata in un abito grigio d'ordinanza — cravatta Marinella con nuance color argento — contrasta nettamente con l'ambiente rarefatto di questo ufficio che pare un salotto del '700. Romano dei Castelli, nativo di Marino per la precisione, Geronzi è un banchiere molto borghese ma pragmatico, lontano da quell'aura di noblesse oblige che avvolge Corrado Passera o Alessandro Profumo e contemporaneamente distante anni luce dall'aria severa, anche se un po' opaca, di Giovanni Bazoli. Il plenipotenziario di Capitalia è un uomo che, per carattere, sarebbe semplice e genuino. (...) Lui e il potere? «Io parto da un'unica considerazione», dice il banchiere, «oggi nessuno ha il potere di decidere da solo, soprattutto in campo finanziario. Insomma, il potere con la P maiuscola non esiste più o esiste solo nell'immaginario collettivo». E Geronzi allora che cos'è, nella nomenclatura delle banche italiane? «Un funzionario, ecco tutto. Ben retribuito, certo, ma in cambio di una totale dedizione alla causa». (...) La sua storia comincia nel '60 quando vince un concorso in Bankitalia, dove resterà per vent'anni percorrendo tutti i gradini della carriera fino al livello di direttore del servizio rapporti con l'estero. Pupillo di Guido Carli, è amico di Lamberto Dini ma ha una forte intesa soprattutto con l'attuale governatore Antonio Fazio. Quando esce da via Nazionale, nell'80, va al Banco di Napoli con la carica di vicedirettore generale, dove resterà due anni. Al ritorno nella capitale lo attende una poltrona alla Cassa di risparmio di Roma che, secondo l'allora governatore di via Nazionale Carlo Azeglio Ciampi, ha bisogno di un rilancio. «Devi far risorgere la piccola Cassa», dice Ciampi a Geronzi. E lui prende alla lettera l'incarico: in tredici anni la Cassa mangia una banca dietro l'altra compra il Santo Spirito, il Banco di Roma, la Banca mediterranea e la Banca nazionale dell'agricoltura fino a contendere al San Paolo il primato nella classifica delle banche italiane. Negli anni dello shopping, Geronzi non cambia ruolo: fa il direttore generale, affianca devotamente Pellegrino Capaldo. Ma quando il presidente lascia — e siamo al 15 dicembre '95 — sa perfettamente che spetta a lui salire in cabina di regia. Gli toccherà privatizzare la banca; più volte sarà oggetto di attacchi da parte di coloro che considerano troppo stretto il suo rapporto con la Banca d'Italia. (...) Ora, se può, il banchiere di Marino diserta gli inviti di lavoro e torna a casa all'ora di pranzo per chiacchierare con le figlie. «Con Chiara parliamo spesso di giornalismo, ha scelto da sola di fare questo mestiere», sottolinea con una punta di fisiologica civetteria, «e io l'ho lasciata libera, non ho ostacolato la sua passione: evidentemente era la sua strada». D'estate non rifiuta le gite in barca in Costa Smeralda, i week-end sono santificati invece nella casa di campagna, dove lui gioca a calcio. La sua dieta, poi, è mediterranea doc. Il piatto preferito? Pastasciutta, in tutte le salse. (...) «Conosco la dura realtà del lavoro e a essa sono particolarmente affezionato», sentenzia. «Non ho mai pensato di essere un uomo di potere nel senso classico del termine, piuttosto sono un funzionario che, in cambio di una buona retribuzione, ha sacrificato alcuni valori fondamentali, come la famiglia, per votarsi totalmente alla banca».