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di ENRICO CAVALLOTTI LA MUSICA d'arte contemporanea, che il mondo ignora, o malconosce, ...

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La musica colta della presente stagione patisce esperienze disavventurate. Latitano i genî, atti a capolavori: i rimanenti sono impotenti ad essere come occorrerebbe per scodellare opere per bene. Bach, Mozart, Rossini sarebbero oggidí soufflés seduti: sive ciambelle riuscite senza il menomo forame. Ché la grande arte può rampollare dall'angoscia e dalla disperaggine - cosí ad esempio nelle pitture di Jeronimus Bosch, nel Barocco visionario, nei canti leopardiani, nei versi di Trakl, nelle sinfonie mahleriane - ma non certo dalla molla abulía d'una società appennicata e reificata: qual'è la nostra: palesissimamente. Magari la musica ha detto quanto v'era da dire sull'uomo, e sui di lui ammennicoli. Ed ora attende esseri rinnovellati: che all'orizzonte non si scorgono. Né manco loro prodromi. Il fascino un po' venefico dei fuochi fatui sui canali notturni, sarabande arlecchinesche ploranti lungo le calli, arpe clarini e stridii elettronici nelle piazzette scontraffatte da uno stellato cacofonico. Il silenzio, quale panna. Molto silenzio, in un'anti polis inghirlandata di stinti frantumi melodianti e pregna di lisa rettorica. Tutto è possibile, nell'Utopía lagunare: anche il disarticolarsi della logica e dell'arte, anche lo sfaldarsi e l'abissarsi d'ogni prassi compositiva: si dice nei giorni del Festival, dalla sera del 12 alla sera del 21 c. m.. Crogiuolo, quest'anno, súbito appresso il massmediatico poppeggiare cinematografico, di conciliaboli fra jazz e sperimentalismi post moderni dei musici serî, ormai altezzosamente desengagés. Piú che compositori, stavolta - nulla piú essendo da commettere al comporre - performers, siccome recita la locandina programmatica, nei panni di «autori di sé stessi, esecutori d'altrui scritture, o creatori di una partitura parallela». Alle ore 18, nel malizioso tergiversare delle luci; alle pasteggianti ore 20 e 30, quindi piú tardi alle ore 22 e 30; in fine, alle ore 24: quando la notte fa piazza pulita d'ogni particolare ozioso (Borges), ed a far ronda su i diserti camminari vanno dinoccolate congreghe di semibiscrome. Tirerà su il sipario festivaliero Uri Caine, tenuto per monstrum, intento all'«Othello Syndrome» ch'è rivisitazione fantasmagorica del capodopera verdiano. Artisti americani a josa, come Butch Morris che tirerà giú il sipario della kermesse con una rivista d'elementi d'oltreoceano. E copiosa presenza di musici ebraici: da David Krakauer a Zeno de Rossi e Gary Lucas. A tacere della cameristica, vibrante dell'Amsterdam Trio, d'un Trio svizzero, d'un team finlandese, e tant'altra gente ancora. Tutta quanta a Venezia. A rifondarla di sonate il cui ardire sia meritorio, comechessía, di plauso a priori.

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