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Dei 12.000 uomini se ne salvarono 37

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LA MATTANZA IMPOSTA DA HITLER

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Il 12 settembre il Comando germanico aveva scodellato agli italiani tre opzioni: schierarsi al suo fianco; consegnare le armi; combattere. Gandin scelse di provare a cercare l'improbabile soluzione della trattativa per il rimpatrio, fidando sui suoi rapporti con gli ex camerati e salvaguardare un senso dell'onore non più storicamente sostenibile. I tedeschi in realtà avevano deciso per lui e già il 13 il capitano di artiglieria Renzo Apollonio aveva preso a cannonate due motozattere con uomini e rifornimenti per l'attacco alla guarnigione italiana. Marina, artiglieria e carabinieri volevano combattere, la fanteria era in parte orientata al disarmo. Il secondo errore di Gandin, che abdicò al suo ruolo di comandante e di responsabile, fu mascherato con un preteso senso di democrazia, col ricorso a un inusitato plebiscito (peraltro parziale) tra la truppa. Il terzo errore, ancor più inescusabile, la lettera al tenente colonnello Barge in cui il filotedesco Gandin sostiene che la Acqui si è in pratica ammutinata. Gandin combatte quando i tedeschi lo attaccano, non quando avrebbe dovuto e potuto. Gli scontri iniziano alle 14 del 15 settembre e alle 11 del 22 è tutto finito. Termina la battaglia, comincia la mattanza di migliaia di prigionieri ordinata da Hitler in persona. Degli ufficiali se ne salveranno solo 37. Gandin sarà ucciso alle 7 del mattino del 24 settembre. Dal petto aveva già rimosso la croce tedesca in ferro di cui andava così fiero. M. P.

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