Addio a Leni Riefenstahl, la regista che esaltò Hitler e spaventò Mussolini
Aveva 101 anni. Era da tampo malata in seguito a un intervento chirurgico. di ANTONIO SPINOSA AVEVA da poco compiuto — nel gennaio scorso — i suoi centouno anni di vita. Eppure lei, Leni Riefenstahl credeva di essere immortale, e lo pensarono anche i suoi innumerevoli ammiratori al recente apparire di un documentario che aveva girato in ricordo delle sue numerose quanto straordinarie immersioni nell'Oceano Indiano. Prima danzatrice, una vera e propria ballerina, e poi attrice. Si rivelò al fianco di Luis Trenker nella «Montagna dell'amore» quando si era appena concluso il primo quarto del secolo scorso. Ma in quell'occasione non diede l'idea di ciò che sarebbe diventata. Il film non era un granché, e in esso apparivano più convincenti i monti che non l'attrice. Tuttavia ripetè, anche se per poco, la stessa esperienza in altre pellicole in cui erano sempre le montagne a farle da sfondo. Allora si convinse che forse per lei sarebbe stata più fortunata la strada della regia, e già nel 1932 diresse il suo primo film pur rimanendone una delle interpreti. Ma ancora montagne, e più drammaticamente, nella «Bella maledetta». Il film era muto, ed era dominato da un non molto convincente espressionismo. L'avvento del nazismo, con tutto il suo empito militaristico, fu per lei una svolta anche artistica, come dimostra ampiamente il film che nel 1935 doveva renderla celebre. Hitler stesso, che aveva in lei intuito una grande qualità artistica, le chiese di girarlo. E le aveva perfino suggerito il titolo: «Triumph des Willens», Trionfo della volontà. Che trionfo! Il film era stato ideato per celebrare il congresso del partito nazista che si era magnificamente tenuto in una suggestiva Norimberga medievale. Il tutto era finalizzato a esaltare la presa del potere. La scenografia era stata ideata dall'architetto Albert Speer per glorificare la grandezza, la superiorità e la magnificenza della Germania che alfine era divenuta nazista e fondato il Terzo Reich. La Riefenstahl non badò a spese, e del resto il regime fu di maniche larghe con lei, anche perché non si poteva negare che il Führer avesse per lei una debolezza sentimentale. Inventava nuove tecniche cinematografiche utilizzando ben trenta macchina da ripresa e puntando soprattutto a far apparire Hitler, lo sguardo del Führer, sempre più magnetico. L'idea della «volontà» che sorreggeva il regime era simboleggiata da lingue di fuoco che lambivano il cielo e dal cupo rimbombo regolare degli stivali di soldati impavidi e trionfanti. Alla vista di quel film sul bellicismo nazista nessun popolo poteva più stare tranquillo. Vi emergevano le caratteristiche della mistica e dell'estetica hitleriana, in un miscuglio di elementi cristiani e pagani fra simboli di morte come i teschi delle Schutzstaffeln. Perfino Mussolini se ne spaventò tanto da vietarne la proiezione in Italia.