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Sirchia invoca una tavola parca. Ma poco cibo è regola trasversale a ogni cultura e a ogni fede

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Come raggiungere questi obbiettivi? Ecco un consiglio: distribuire a tappeto, gratuitamente la «Regola Sanitaria Salernitana», conosciuta nel medioevo come «Regime Sanitatis Salernitanum», una preziosa guida per stare in salute mangiando, scritta dai medici della prestigiosa Scuola Medica di Salerno, la più antica istituzione dell'Europa occidentale per l'insegnamento della medicina. Ritenuto il documento letterario fondamentale dell'antica medicina, il «Regime», scritto intorno all'anno Mille in versi, come una sorta di poemetto popolare alla portata di tutti, comincia con questi consigli generali: «Se vuoi tu sanità perfetta/ed immune servar da tutti i mali,/ scaccia le gravi cure, e non dar luogo/ all'ira passion truce, e profana./ A' calici di Bacco il labbro accosta/ sobrio, e di rado, ad una parca cena/ siediti, e sorgi in pie dopo la mensa./ Così osservando ben questi precetti/ lungamente godrai vita felice». Poi si susseguono una miriade di consigli sui singoli alimenti e bevande, sullo stile di vita e anche sulle possibili diete da seguire in casi particolari, mai agendo di testa propria, bensì consultando un dottore: «Come e quando, giusta il male, /quante volte, e quanto, e quale/ ad assumer s'abbia il vitto/ fia dal medico prescritto». Anche di digiuno terapeutico parla la Regola Salernitana soprattutto in caso di reumi, catarro, obesità, secrezioni delle vie respiratorie e patologie in cui prevalgono gli umori umidi e il corpo cerca di riequilibrarsi disseccando il corpo con le secrezioni delle mucose. D'altronde il digiuno era una pratica antichissima per purificare l'organismo già consigliato da Ippocrate nel IV secolo avanti Cristo, nel suo «Il regime nelle malattie acute» (Utet), ma abbinato a tisane d'orzo. «Un assoluto digiuno talvolta giova, se il paziente è in grado di sopportarlo finché la malattia, al suo culmine, venga concotta», scriveva però Ippocrate, ma anche più tardi, nel 25 avanti cristo, un suo seguace romano, Aulo Cornelio Celso, autore di otto libri sulla medicina («De Medicina»): l'unico trattato medico dell'età classica romana in cui il digiuno terapeutico ha un ruolo molto importante. Un concetto ribadito anche da Galeno, medico a Roma nel II secolo della nostra Era e, molto dopo, anche da Avicenna, il principe dei medici arabi, nato nel 980, oppure dalla mistica benedettina Ildegarda di Bingen che nel XII secolo riteneva il digiuno un rimedio quasi universale perché «in grado di eliminare 29 delle 35 cause psichiche di malattia e capace di liberare le forze di guarigione dell'anima». Ma anche nel tempio di Asclepio ad Epidauro i sacerdoti officiavano le guarigioni attraverso l'intervento diretto della divinità che appariva in sogno e consigliava il rimedio ai malati precedentemente purificati con un cerimoniale del quale facevano parte abluzioni, diete con restrizioni alimentari e digiuni. D'altronde il digiuno come mezzo rituale di purificazione, di espiazione, di contatto col divino entrava a far parte della terapia in ogni concezione religiosa o soprannaturale della malattia, quando cioè essa era vista come conseguenza di colpe, peccati, come castigo divino, o determinata da entità spirituali ostili. Perciò in moltissime credenze religiose si poteva ricorrere al digiuno per ripristinare l'integrità spirituale e il favore divino; per rafforzare le virtù ed eliminare gli ostacoli e le forze avverse all'integrità dell'individuo. Basti pensare al digiuno islamico durante il Ramadan, che ha inizio col nascere del giorno e termina con il calare della notte, e che richiede una totale astensione dal cibo, dalle bevande e da ogni altro piacere del corpo, compreso il fumo e i rapporti sessuali. D'altra parte anche la religione ebraica

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