Orlando: «La guerra continua? Sì, ma soltanto per 48 ore»
Sui retroscena di quelle giornate sono stati versati fiumi d'inchiostro, e tuttavia alcuni passaggi restano ancora oggi controversi. L'ambiguità di fondo era già nel proclama radiofonico di Badoglio della sera del 25, centrato su due concetti-chiave: l'Italia mantiene fede alla parola data e la guerra continua. Su quest'ultimo punto, uno dei più rinfacciati nel dopoguerra ai protagonisti di quei giorni, permette di far luce una lettera in due versioni di Vittorio Emanuele Orlando, il presidente della Vittoria, a Togliatti conservata all'Archivio centrale tra le sue carte personali e mai spedita. Lo spunto nasce da un corsivo dell'Unità del 2 giugno 1945 che accusava appunto il vecchio statista di aver suggerito quella frase sciagurata del proclama. L'accusa suonava dura, anche perché Orlando era in quei giorni in predicato per una possibile guida del governo, e 48 ore dopo lo spinse a rispondere riservatamente a Togliatti in persona, dati gli ottimi rapporti tra loro. La lettera rimase nel cassetto, forse per non sembrare in cerca di giustificazioni da parte di un potenziale papabile alla presidenza, ma l'accusa continuava a bruciare e il 23 Orlando vi tornò sopra, con una nuova versione più approfondita. «Il valore politico di quella frase, scrive Orlando, dipendeva necessariamente dal nesso che la collegava con un programma». E proseguiva: «Quando io fui richiesto di esprimere un mio pensiero in argomento, la continuazione della guerra in forma di alleanza con la Germania supponeva per me una durata di 24 o al più di 48 ore, dopo di che doveva immediatamente iniziarsi una aperta, chiara, coraggiosa azione risolutamente e lealmente innovativa della situazione in cui l'Italia si trovava, diretta a liberarla e dall'alleanza e dalla guerra, in maniera onorevole, e per quanto possibile sicura». «Il che, concludeva, fu precisamente l'opposto di quello che si fece». Si tratta di critiche largamente condivisibili, anche se espresse ovviamente a cose fatte. Tuttavia, con una rilevante eccezione. Affermare il 25 luglio che la guerra continuava, scrive Orlando nelle righe precedenti, era "lapalissiano, perché nessuno poteva pensare che fosse finita". Verissimo, ma non si trattava della guerra degli altri, tra tedeschi e alleati, come sembra voler dire Orlando, ma della nostra, soprattutto se quella frase veniva collocata accanto alla proclamazione di fedeltà alla parola data, sul cui significato non potevano esserci dubbi. In quella ambiguità, confermata ancora retrospettivamente da uno dei protagonisti, e nella conseguente rinuncia da parte dell'Italia a una uscita immediata dal conflitto, con l'assunzione dei rischi (certo più limitati rispetto a quanto avvenne 45 giorni dopo) che questo comportava, stavano già le radici della tragedia successiva. Nella foto, il generale Castellani firma l'armistizio