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Come il fedele fotografo fascista seppe divertire il soldatino Usa

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E pochi istanti dopo potei assistere, sbigottito, per la prima volta in vita mia, a uno strepitoso esempio di arte di arrangiarsi all'italiana. Accadde una bella mattina d'autunno, immediatamente precedente o successiva al 12 e al 13 ottobre, giacché fu proprio in quei giorni che un reparto della Quinta Armata, provenendo da Benevento, riuscì a strappare ai tedeschi i paesi della Valle Telesina. Spuntarono all'improvviso. Quando arrivarono, i tedeschi se ne erano già andati da due o tre giorni. Scesero lentamente giù dai monti che circondano il paese. E quando alcuni di loro si fermarono sotto i nostri balconi, scesi giù e andai loro incontro con tutta l'emozione e la curiosità dei miei circa tredici anni. Ma tornai subito indietro. Mi ero bruscamente ricordato che in un locale di quel palazzetto, al piano terra, appeso a una parete, c'era un grande pannello con un gigantesco ingrandimento di una famosa fotografia del Duce: quella con l'elemetto e il sottogola. Quel locale era il laboratorio di un certo Oreste Linfante, l'unico fotografo del paese: un tipo abbastanza buffo, dall'espressione vagamente ottusa, grande bocca scimmiesca e denti cavallini, modi rumorosi e spavaldi. Era, fra l'altro, un piccolo gerarca, sempre in fez e camicia nera, ma sostanzialmente inoffensivo. E quel pannello era un suo speciale attrezzo di lavoro. Era solito infatti proporlo come fondale a quei giovanotti del paese ai quali pensava sarebbe piaciuto farsi ritrarre sotto lo sguardo del Duce. Tornai dunque sui miei passi e corsi da quello scemo. Volevo suggerirgli di staccare subito dal muro quel pannello e di nasconderlo da qualche parte. Ma quando arrivai, lui aveva già scoperto un nuovo modo di impiegarlo. Lo aveva portato nel cortile. Lo aveva steso per terra. Ci aveva piazzato sopra un soldatino americano che aveva appena abbordato in piazza. Gli aveva chiesto di mettersi in posa coi pugni puntati sui fianchi, le gambe divaricate e i piedi piantati sul volto del Duce. E dopo aver infilato una lastra nella sua macchina, piazzato dietro il treppiedi, con la testa ficcata sotto il panno nero, stava già scattando la sua prima foto antifascista. Giacché quel soldatino della Quinta Armata fu soltanto il primo dei tanti che Oreste convinse quella mattina a farsi immortalare in quella posa, piantati su quel pannello che fino a soli pochi giorni prima aveva usato per dare anche al suo lavoro un tocco di stile fascista. Ruggero Guarini

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