di CARLO ROSATI CENTOMILA caffè per Roberto Benigni come Alex Britti all'inizio di «Caffè ...
Ma Benigni, in questo caso, non li berrà aspettando una donna ma per dialogare con un altro bell'ingegno, Steven Wright, sulla bontà delle sigarette, della nicotina e soprattutto del caffè, una bevanda insostituibile che andrebbe data anche ragazzi: un dialogo dell'assurdo nel bar più fatiscente di tutta l'America con un tavolo pieno di tazzè di caffè che i due bevono a ritmo continuo. Dopo Benigni arriva una serie di coppie a prendersi il loro caffè, da Tom Wait a Renée French, da Cate Blancett a Bill Murray, in un film che è un collage di corti o scene di Jarmusch, rimontate in pellicola per il «fuori concorso» che ha chiuso in Sala Grande la presentazione dei film della Mostra. Dalle montagne dell'Himalaya è arrivato invece uno dei film più belli dell'intera Mostra, «Maghi e viaggiatori», girato dal lama del Regno del Buthan, Khyentse Norbu, un monaco buddista che racconta una favola che si svolge tra realtà e fantasia. Il protagonista è il giovane funzionario di un villaggio tra le montagne, Dramyn, che attende una lettera: quella che lo convochi in America, dove in un giorno può guadagnare quanto un mese del suo lauto stipendio. Non appena giunge la lettera, mette le sue scarpe da tennis, profondamente americane, e scende dai viottoli delle montagne per prendere la corriera, che passa a giorni alterni. La perde ed attende per un giorno il passaggio di una macchina che gli dia un passaggio fino a Thimpu, dove troverà i mezzi per il suo viaggio nel «paese del sogno», come confida al contadino e al monaco che fanno la sua stessa strada verso la città. E proprio il monaco buddista gli racconta un'antica favola, quella di un ragazzo che studiava magia ed un giorno si ritrovò sperduto nella foresta, accolto nella casa isolata di un vecchio con una giovane sposa. Da qui realtà e fantasia procedono insieme, in un «viaggio» tra saggezza e metafore verso la conoscenza, la moralità, l'onesta, l'amore. Come il ragazzo del racconto anche Dontup, l'«americano», che si sente uno «straniero» nel suo paese, incontrerà una donna, la giovane e luminosa Sonan. Due storie d'amore sorprendenti, limpide, pulite, in un film magistrale, splendido nella fotografia tra le cornici dei monti, grande nella ricchezza di una povertà assoluta, ma non sofferta, nella bellezza esaltante della semplicità. Un film che potrebbe vincere il «leoncino» di «Controcorrente».