Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

di CARLO LOTTIERI LA VITTORIA elettorale ottenuta nel 1994 dal centro-destra e, negli anni ...

default_image

  • a
  • a
  • a

Per merito dell'editore Rubbettino, è oggi possibile approfondire la conoscenza di quei personaggi e della loro militanza politica nel partito radicale grazie ad un lavoro di Luca Tedesco («L'alternativa liberista in Italia. Crisi di fine secolo, antiprotezionismo e finanza democratica nei liberisti radicali, 1898-1904», 8 euro) in cui si fa il punto sui meriti e sui limiti di quella battaglia intellettuale, destinata ad essere travolta dall'avvento di forze del tutto ostili all'economia privata. Il volume offre più di un motivo d'interesse, soprattutto per l'attualità delle tesi pro-global di quanti già un secolo fa consideravano fondamentale abbandonare il protezionismo. Contro l'Europa di Bismarck e di Crispi, i liberali si fecero apostoli di concezioni individualiste che anteponevano la libera scelta del singolo ad ogni forma di mito collettivista. È in questo senso significativo che, allora come oggi, uno dei tratti più specifici della battaglia liberista fosse proprio da riconoscere nel rigetto del militarismo. In questo senso, Tedesco sottolinea come Ferrero vedesse nella Germania guglielmina un modello sociale autoritario e negatore d'ogni pacifica operosità, mentre De Viti De Marco riconduceva le difficoltà connesse alla costruzione del governo Zanardelli d'inizio 1901 alla volontà di «non contenere le spese militari nei limiti effettivi dei 239 milioni». Per i liberisti, insomma, il rifiuto delle tasse doganali e la riduzione delle spese pubbliche (specie quelle destinate a sostenere sogni imperialisti) erano i due lati di una medesima medaglia. Nell'arco di pochi anni, però, il gruppo dei liberisti radicali sarà prima sconfitto dall'affarismo e dal pragmatismo giolittiani, per poi essere definitivamente cancellato dall'avvento della democrazia di massa e del fascismo. A questo proposito va detto che uno dei limiti intellettuali maggiori di tali liberisti della Belle Époque è da riconoscere nella loro ingenua sopravvalutazione dei moderni sistemi rappresentativi, che hanno proprio moltiplicato quegli stessi mali contro cui Pantaleoni e De Viti De Marco combatterono le loro battaglie. Essi s'illusero di poter fare dello Stato un arbitro imparziale e videro nella democrazia una positiva opportunità in tal senso, ma il successo delle forze collettiviste ed autoritarie spazzerà via definitivamente le loro illusioni. A distanza di un secolo, è interessante notare come vi siano questioni che si ripropongono esattamente negli stessi termini, anche se appaiono mutati tanto il quadro generale come il clima complessivo.

Dai blog