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In Egitto Israele diventa romantico

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Due anni fa il Festival è stato dedicato allo Spontini "napoleonico"; quest'anno, allo Spontini "prussiano", scegliendo non solo suoi lavori d'occasione mai eseguiti in tempi moderni (pure con rielaborazioni discusse e discutibili) ma anche composizioni ed adattamenti di altri alla Corte di Prussia tra il 1820 ed il 1843. Esaurita l'esperienza neo-classica, iniziava il romanticismo, nella chiave asciutta che ebbe nella Germania del Nord e del Nord-Est; venivano riletti in questa chiave pure i grandi compositori barocchi, lasciati, per così dire, in panchina negli anni del trionfo neo-classico. È in questo quadro che al Teatro Pergolesi di Jesi è stata presentata la prima esecuzione in Italia di «Israel in Egypt» di Georg Friedrich Händel nella riduzione per soli, cori e pianoforte di Felix Mendelssohn Bartoldy. Si tratta di uno degli oratori più misteriosi di Händel; giunto incompleto, colmo di citazioni ed auto-citazioni, è, nella partitura originale, a metà strada tra un oratorio ed un'opera seria in cui il coro è il vero protagonista. Nella rielaborazione di Mendelssohn, i virtuosismi lussoreggianti quasi anticipatori del "rococo", fanno un passo indietro, vengono prosciugati da un romanticismo secco e nervoso, nonché, in certi aspetti, melanconico. L'edizione presentata a Jesi accentua ancora di più queste caratteristiche perché taglia gran parte dei recitativi, riducendo il tempo di esecuzione a un'ora e tre quarti dalle oltre tre ore delle concertazioni, ad esempio, alla Hornancourt. Dall'Athestis Chorus di Este, diretto da Filippo Maria Bressan (ben noto a Roma per la sua collaborazione con l'Accademia di Santa Cecilia), provengono anche i solisti, tra cui un eccellente contro-tenore. Alfredo Dindo, al pianoforte, non solo accompagna ma collega i vari numeri con rielaborazioni che catturano il significato degli abbandoni orchestrali (pure essi asciugati da equilibrismi barocchi).

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