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Togliatti: «Trieste a Tito»

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Nel '45 giustificava la rinuncia con l'esigenza della pace

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A ricordarci le responsabilità che permisero le stragi degli italiani da parte dei partigiani slavi escono ora i «Diari» completi (dal 1933 al 1945, per la Yale University) di Dimitrov, il comunista bulgaro al quale faceva riferimento Togliatti (nella foto) nei suoi rapporti con Stalin, che appunto tramite Dimitrov il 17 maggio del '45 fece sapere che Trieste doveva andare alla Iugoslavia. Era il punto d'arrivo di un via vai di richieste di ordini precisi che da Roma erano partite per Mosca, e che il bulgaro registrava fedelmente. Nel febbraio, per esempio, Togliatti gli aveva inviato un tele cifrato in cui scriveva «La maggioranza gli italiani considera Trieste come una città italiana. La popolazione locale in gran parte italiana accetterebbe lo status di città libera, specie se questo fosse proposto da noi. Consigliatemi su cosa fare». Ma Mosca aveva deciso per Tito e Togliatti si stava già muovendo in questo senso, come dismostra una sua lettera inedita del 7 febbraio 1945. Ma andiamo con ordine. Il ministro dell'Aeronautica, il demolaburista Gasparotto, il 24 gennaio aveva inviato al Presidente Bonomi e a De Gasperi una relazione sulla propaganda jugoslava nella Venezia Giulia, dove veniva documentata l'opera di snazionalizzazione della provincia, sia attraverso la propaganda per aderire al nuovo regime etnico-politico, sia attraverso l'eliminazione fisica degli italiani recalcitranti. Sulla base di tali informazioni, Gasparotto, come si ricava da una lettera di spiegazioni a Bonomi del 26 febbraio (nella quale chiedeva che venisse comunicato il rapporto anche a Togliatti) aveva esposto le sue preoccupazioni a diversi amici, dichiarando che i patrioti triestini non dovevano «farsi sorprendere dal fatto compiuto» di fronte a un tentativo di occupazione jugoslava. Le parole di Gasparotto erano state comunicate a Togliatti, allora vicepresidente, il quale, appunto il 7 febbraio aveva scritto a Bonomi una lettera di protesta che merita attenzione. Togliatti trasforma le preoccupazioni del collega di governo in una sua presunta direttiva al Comitato partigiano per l'Alta Italia «per impedire che in essa (Venezia Giulia) penetrino unità dell'esercito jugoslavo». Tale direttiva per Togliatti, «sarebbe politicamente sbagliata», non «potrebbe essere data senza consultazione del Consiglio» ed equivarrebbe a «iniziare una seconda volta la guerra contro la Iugoslavia». Ma il punto cruciale viene dopo e suona minaccioso. «Quanto alla situazione interna, prosegue, si tratta di una direttiva di guerra civile, perché è assurdo pensare che il nostro partito accetti d'impegnarsi in una lotta contro le forze di Tito». «La sola direttiva da darsi è che le nostre unità partigiane e gli italiani di Trieste collaborino nel modo più stretto con le unità di Tito». Ma non si tratta solo di un consiglio, bensì di un ordine operativo, in barba alla precedente richiesta di discutere in Consiglio. «In questo senso, del resto - conclude il Migliore - la nostra organizzazione di Trieste ha avuto da me personalmente istruzioni precise». Si tratta, è evidente, di un documento straordinario, perché è forse l'unico caso di una lettera autografa in cui Togliatti dichiara di aver dato disposizioni ai comunisti locali per favorire l'occupazione iugoslava. Gli effetti si erano già visti a Porzùs e si vedranno poi in maggio a Trieste e in Istria, aprendo ferite solo in parte rimarginate.

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