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di CARLO DE RISIO LA SOCIETÀ di recuperi marittimi «Odyssey» — finanziata da privati americani ...

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Si tratta di 20 mila monete d'oro, destinate alle banche di New Orleans, per rimettere in sesto l'economia del Sud, stremata dopo la guerra di Secessione. L'«Odyssey» ha impiegato dodici anni per localizzare lo scafo del «Republic», a 500 metri di profondità, un tempo proibitiva, oggi invece alla portata degli Indiana Jones degli abissi, dotati di mezzi sofisticati. Quando si pensi che Robert Ballard — oggi impegnato in Mar Nero — ha localizzato e ispezionato a più di 4 mila metri di profondità, in Atlantico, il «Titanic» (affondato nel 1912) e la corazzata tedesca «Bismarck» (affondata nel 1941), si ha una idea del salto di qualità compiuto dalle società specializzate che frugano i fondali dei Sette Mari. Gli ecologisti hanno arricciato il naso all'annuncio della «Odyssey», in quanto a incoraggiare i sottoscrittori delle azioni di questa, come di società consimili, è soltanto il profitto: di scientifico, c'è ben poco. Ma questa formula si è rivelata come la più redditizia, per mettere le mani sui ricchi carichi non soltanto dei galeoni, ma anche dei piroscafi, quando la vela su soppiantata dalla trazione a vapore. La serie positiva è stata aperta, nel luglio del 1985, da un altro americano, Mel Fisher, accanitosi per dieci anni nelle ricerche del galeone «Nuestra Señora de Atocha» affondato nel 1622 al largo della Florida. La quota di proprietà nell'impresa di Fisher si era ridotta al 5 per cento, quando venne individuato il carico del galeone, perché scafo e alberi si erano macerati sul fondo da tempo: 1.028 lingotti d'argento (pari a 47 tonnellate), 7.175 once d'oro, 250 mila Dobloni, smeraldi non tagliati della Colombia, per un controvalore di 800 miliardi i vecchie lire. Sulle Keys, al largo della Florida, Fisher aveva però perduto un figlio, la nuora e un sub, a riprova che il rischio in queste imprese è sempre molto elevato. Questo sposta il discorso su uno dei più famosi «cimiteri di navi» del mondo. Quando i convogli di galeoni, salpati dall'Avana, incappavano in fortunali e tempeste, andandosi a fracassare sugli scogli della Florida, ingenti carichi preziosi della corona spagnola andavano perduti. E poiché l'impero spagnolo del Nuovo Mondo durò — anno più, anno meno — trecento anni, i naufraghi furono molti: a queste perdite, bisognava aggiungere quelle provocate dalle scorrerie di pirati e corsari. Si dà tuttora la caccia, ad esempio, al «Santa Margarita», naufragato con 429 lingotti d'argento, 18 mila monete, 1.488 once d'oro e finissime porcellane cinesi, trasportate sulla costa occidentale del Messico dal cosiddetto «galeone di Manila», caricate su muli e reimbarcate a Vera Cruz con destinazione Spagna: ma spesso il tutto veniva inghiottito dal Mar dei Caraibi. Anche Fidel Castro ha fatto un pensierino ai galeoni naufragati intorno a Cuba e vorrebbe, con i loro carichi, rinsanguare il suo esausto erario. Cinque anni fa, Fidel si affidò al gruppo italiano «Ramal», per l'esplorazione e la valorizzazione del patrimonio archeologico sommerso: in realtà sperava di realizzare il colpo grosso, che tuttavia è mancato. Qualcosa di simile sperava di ottenere il governo dell'Uruguay, recuperando l'oro che si trova nel relitto del galeone «El Preciado», affondato nel Rio de la Plata. La verità è che soltanto i soldi procurano altri soldi; le società per azioni degli Stati Uniti hanno realizzato profitti investendo un mucchio di dollari, ed i risultati non si sono fatti attendere.

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