«LIGABUE FANDANGO»
Una pioggia infernale di rane, un «cra-cra da giudizio universale», si abbatte su queste terre spargendo il terrore. Un coccodrillo esce dalle acque, fa strazio di corpi e ritorna nella palude. In tale incubo erra Timur il Mongolo, con la divisa da soldato e gli occhi obliqui. Disertore, incontra uno strano tipo spiritato che mugugna, fa boccacce, emette suoni disarticolati: è Antonio Ligabue, «uno che parla con la realtà invisibile», ex stalliere in un circo e buttafuoco e poi estroso pittore naïf di tigri d'«aria» e motoguzzi rosse. Oppressivo e simbolico, semina insidie un paesaggio senza sole, già approdato con altri colori nella narrativa fantastica di Giuseppe Pederiali e nel visibilio degli irregolari custoditi nell'abbagliato universo romanzesco di Alberto Bevilacqua. Ora, proiettando orrori, utopie e passioni in un eroicomico fondale, Roberto Barbolini ambienta Ligabue fandango, fascio di terremotate avventure del leggendario artista e di una corte dei miracoli su cui emergono la bella e sensuale Angelica dallo sguardo selvatico; il figlioletto Bilìn, magro come un chiodo; il mellifluo Tenore, grasso e vizioso, in lotta con il proprio doppio; e il Ghizza, vecchio e strambo amico di Ligabue, anche lui pittore e intento a gridare ai quattro venti. Con una prosa elettrica, di intarsi culturali e sapore popolare, Barbolini rilancia, mediante un rovente accordo con la logica e la follia delle cose, la favola di Ligabue intensificandone i tratti stravolti: eccolo con la faccia «in un'aureola maestosa di assi fradice» e, dopo la fine, contorcersi «nel fandango dei morti». Trascinato in mezzo a una sfregiata folla di comparse, il pittore parla a spezzoni di sé, del male oscuro che lo ha costretto in manicomio, condensa l'idea del sesso nell'incisione di un tronco d'albero. Preso nella giostra dell'inquietudine, protegge Angelica dalle brame del Mongolo, mentre infuria la guerra e imperversano le Bande Nere. Repentino nel taglio delle scene, il racconto sfrutta vari livelli espressivi, disegna sviluppi pure per gli episodi più statici e non dimentica la pausa saggistica e il risvolto allegorico, ben sapendo però che lo spazio fondamentale tocca al trepestio della vita. Roberto Barbolini, «Ligabue fandango»Aragno, 143 pagine, 12 euro