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di ENRICO CAVALLOTTI SE non fosse che il cattivo gusto è giustificato dall'aristocraticissimo ...

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Ad un cervello frullante necessiterebbe uno sforzo sisifeo per emulare bêtises, carabattole e testicoleríe gettate a getto continuo su l'occhio incredulo del disavventurato pubblico. Per un capolavoro assoluto dell'opera seria rossiniana ecco uno scempio di manicures, hostess e ambasciatori all'Onu, guardie del corpo, tavoli da giuoco, biscazzieri, e guerrieri della stirpe Star trek: ed altrettante e simillime cacchioneríe. Tutto ciò mentre le ugole dei cantanti, tapine loro, con mille accortezze e virtuosismi sovrumani cantano di acri casi babilonesi e di Semiramide: la forse mai esistita reina di superbe dissolutezze e di viscerale amor di patria, dedita a crimini e grandi opere urbanistiche, a prostituzione rituale (e domestica) e a vittoriose guerre agli indiani (quelli dell'India). A tacer d'altro, basti rilevare che tanto attraente, colma d'ebrietà e foriera di squisite eccitazioni è stata Semiramide nei secoli dei secoli che a lei si volsero, per esempio, le penne d'Erodoto e d'Ariosto, di Voltaire e di Calderòn de la Barca, di Diodoro e di Metastasio, etc.... né rincularono i musici, affatturati dal lussureggiante edonismo del soggetto, sí che imaginando lei nel fulgore delle opere, e degli atti, scodellarono note Cesti e Vivaldi, Paisiello e Gluck, Cimarosa e, ovviamente, il Nostro: Rossini: il meglio. «Semiramide», melodramma «tragicoserio» in due atti: momento di sintesi e di culmine nell'operismo drammatico italiano nel primo quarto del secolo decimo ottavo. Il libretto, ricavato da tal Gaetano Rossi dalla tragedia di Voltaire, è poca o punta cosa, ma la musica del Pesarese ingloba e trita la pochezza e la rende materiale d'un capolavoro della musica lirica. In Rossini l'indomito rigoglio della protagonista, la bramosia dell'indole, la ridondanza ed il turgore d'una natura strenuamente donnesca si rovesciano nell'opulenza delle linee vocali: follemente disfrenate e «babilonesi». Il belcanto è qui il trionfo dell'ornamentazione sensuale che ruota a spirale attorno ad un sentimento stilistico perfetto. Il barocco delle figurazioni si coniuga col piú quintessenziato accademismo della scrittura; la forma domina e piega sotto il proprio luccicante peso gli stessi personaggî, che restano stremati accidenti per un fantasmagorico guizzo nell'irrealtà dell'acrobatismo canoro. Ahinoi, ché l'edizione cui abbiamo assistito non è stata esaltante: la direzione musicale di Carlo Rizzi ha avuto esiti affatto fiacchi e sommarî con un cast vocale non sempre all'altezza dell'arduo cimento. Darina Takova, una passabile Semiramide; Daniela Barcellona un Arsace con voce spenta; cosí cosí gli altri. Cialtroneschi i costumi e le scene di William Orlandi, ed inadeguata alle celestiali diavolerie rossiniane l'Orquesta Sinfónica de Galicia. Dal Festival rossiniano di Pesaro sia lecito attendersi di piú. Di piú assai.

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