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Il caso del riparatore di biciclette

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Un linguaggio asciutto capace di costruire atmosfere senza compiacimentiUn figlio chiuso in sé e misogino Si contrappone a un genitore opprimente che lo sorveglia e nutre oltre ogni necessità

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Il titolo del romanzo può apparire lacrimogeno,« Cuore di madre», ma via via che si procede nella lettura, questa superficiale percezione progressivamente scompare, per lasciare il posto ad una figura di protagonista nuova e singolare, e per accentricità di comportamenti, mai tuttavia esibizionistici, e per naturalezza di gesti e di condizione esistenziale: e sì che le due considerazioni potrebbero far a pugni l'una contro l'altra, se non filtrasse sulla pagina l'eco di una prosa partecipe e vigile che non consente dubbi sulla sicurezza espressiva che Alajmo evidenzia. D'altronde, la vicenda è così fortemente incentrata sul protagonista, Cosimo Tumminia, con la madre a far da controparte determinata a studiarne e cercare di modificare carattere e moduli di vita, che il romanzo stesso sale di tono di pagina in pagina, evidenziando il disvelamento di un singolare temperamento di uomo. Fa uno strano mestiere Cosimo, a Calcara, smarrito paese di un entroterra siciliano intatto e intangibile, in bilico fra il reale e il fantastico, nella quiete immobile di un paesaggio in cui perfino il mestiere anomalo del biciclettista acquista un suo senso, un suo incredibile ruolo. Non vanta una grande affluenza la bottega di Cosimo, e non soltanto per l'impervia natura del luogo, in una zona avvampata di calore che rende un po' facile le discese, impossibili le salite. C'è dell'altro: Cosimo è di natura scostante, un solitario scontroso che non saluta nessuno e non si lascia salutare da nessuno. Fa eccezione la madre, una donna opprimente che lo nutre oltre misura e lo accudisce fin troppo, al di là delle stesse esigenze di Cosimo. Un certo giorno accade l'imprevisto, provocato anche dalla scontrosità del personaggio, dal suo bisogno di nascondersi agli occhi di tutti. Insomma, è l'uomo ideale per nascondere un bambino rapito per il quale si chiede un riscatto. Consegnato l'ostaggio, una cortina pesante di silenzio circonda la coppia, i banditi non si fanno vivi: piovuti dal nulla, paiono ripiombati nel nulla più assoluto. Spunta fuori invece la madre, finora tenuta lontana dalla vicenda con mille scuse, ma adesso al corrente di tutto. La conclusione è meglio lasciarla al lettore, avrà delle sorprese, e non soltanto sul filo dell'azione narrativa, anche sul linguaggio con cui l'avventura viene descritta e condotta. Il procedimento a sezioni di referto, per ognuna delle quali Alajmo mette a prova la sua inventiva linguistica, determina una possibilità di sbocco verso situazioni sorprendenti anche quando potrebbero appartenere alla normalità della vita. Per questa ragione, e secondo un progetto che possiede una sua logica spiegazione, Alajmo utilizza un impasto lingua/dialetto molto efficace, e che al contempo prende bene le distanze da ogni ipotesi di regresso neorealista. Se un modello bisogna proprio andare a cercare, ma non è indispensabile soprattutto per chi non si appassiona affatto alle parentele, un richiamo potrebbe riguardare, nel procedere della prosa di Alajmo, quella azione espressiva verghiana che Francesco Flora, critico molto attento alla sonorità della scrittura, chiamava la «mesta cantata siciliana». Ecco: uno dei motivi di maggior suggestione di questo prezioso testo consiste proprio nella scelta della parola, in quanto realistico suono, senza tuttavia che questa affermazione debba invitare a cercare motivazioni di raccordo. Il linguaggio costruisce atmosfere: «In mezzo a molte inutili preoccupazioni passa la mattina e passa il pomeriggio. Nessun cliente viene a distrarlo, nessun altro viene a chiacchierare con lui. Le parole crociate crittografate rimangono insolute e la radio

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