di MAURIZIO MARINI FINO al 28 settembre Rieti, nei bei locali del Palazzo Papale, mette ...
Il sottotitolo della rassegna lo definisce, a ragione, un «genio bizzarro nella Roma del Seicento». Infatti sono innegabili entrambe le affermazioni: il suo estro, manifestato soprattutto nelle «macchine» architettoniche e nelle decorazioni a fresco e la sua attività che si svolge costantemente a Roma. Nondimeno la sua esplicita bizzarria, conosciuta e apprezzata dai contemporanei (come attestato dai biografi, p. es. Leone Pascoli, 1730-1736), lo ha condannato (con tutta l'età barocca) ai margini della cultura ufficiale su cui si era abbattuto il gelo della miopia critica neoclassica. Tuttavia il gelo conserva e la mostra odierna (curata da Lydia Saraca Colonnelli per il Comune di Rieti e la locale Cassa di Risparmio, corredata da un bel catalogo edito da Artemide, Roma) permette di poter riesaminare al meglio molte delle sue composizioni chiesastiche più belle, che fino a qualche anno fa erano corpi separati dai moderni studi sul Barocco. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, nel 1973, Federico Zeri, Maurizio Fagiolo e io, commentando un suo capolavoro l'Aci e Galatea (purtroppo assente dalla mostra reatina), all'epoca a Milano presso la Galleria Antiquaria di Gilberto Algranti, non potemmo fare a meno di osservare che, dopo gli studi sul Seicento romano di Hermann Voss nel 1924, nessuno si era più occupato del Gherardi e, in patria, per ragioni diverse, noi tre eravamo tra i pochi a ricordare qualche opera di questo «genio bizzarro». Sarebbe stato emozionante e, in vario modo, importante vedere il quadro mitologico suddetto all'interno della mostra in corso: il cielo luminoso pervinca con le nuvole spazzate dal vento e il mare in ebollizione facevano da fondale al melodramma ovidiano degli sfortunati amori di Aci e Galatea. Se il supporto di Paolo Veronese apriva sul soffitto che Gherardi affresca a Roma, in Palazzo Naro, il soffio di questo vento spira già verso il giovane Giovanni Battista Tiepolo. Peraltro Gherardi è figura rara sul mercato antiquario e, quindi, il collezionismo e i musei non possono contribuire alla sua stima e conoscenza. La sua produzione comprende, oltre agli affreschi, tele riportate (per l'Oratorio di Santa Maria in Trivio e per la Cappella di San Francesco Solano in Santa Maria in Aracoeli); gli apparati architettonici con stucchi e dipinti (Cappella di Santa Cecilia in San Carlo ai Catinari; il sublime incastro della Cappella Avila in Santa Maria in Trastevere), nonché grandi pale d'altare (da quella del Sudario dei Piemontesi all'Estasi di Santa Teresa d'Avila in Santa Maria in Traspontina). La mostra di Rieti rivela un pittore di rare qualità tecnico-narrative, anche se talvolta torna alla memoria Mattia Preti, anch'egli rinforzatosi con le schiarite dinamiche del Veronese. Tuttavia per il Gherardi non avere abbandonato Roma resistendo alle lusinghe di altre corti, ha comportato una ricerca coerente e priva dell'inquinamento che, con la mole delle commissioni, ha inficiato la matura attività pretiana. Restano così momenti di stile e di virtuosismo pittorico la pala con Santa Rosalia e un Santo Vescovo intercedono presso la Sacra Famiglia a favore di un appestato (Ajaccio, Musée Fresch) e i teleri del Duomo di Gubbio con le «Storie della Vergine»; l'eccezionale Immacolata Concezione (Rieti, S. Antonio al Monte) costruita coi sottinsù che trovavo un parallelo solo nelle ricerche limitrofe di Andrea Pozzo. San Leonardo libera un carcerato del Museo Civico di Rieti sembra essere una estrema rimeditazione sul mondo neoveneziano del Mola e sulla tenebra della Liberazione di San Pietro del Lanfranco in un'atmosfera illuminata dai bagliori delle lampade d'una ribalta teatrale (lo sfondo prospettico conclude la scenografia effimera in un trionfo di suggestioni barocche).