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Il G8 di Pellegrini racconta tanto ma spiega poco

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Un film (nella foto una scena) ineguale, con qualche fiammata d'impegno che resta però ai margini di quegli eventi del G8 a Genova di cui, anche se tuttora discussi, se ne vorrebbe tentare qui una interpretazione (tra Centri Sociali, polizia, black-block). Si comincia con David al quale manca un solo esame per laurearsi alla Normale di Pisa. Attorno però altri studenti si preparano al G8 facendo prove di sommossa, e poi c'è una ragazza che è anche la ragazza di un amico di David... Tutto precipita. Per seguire gli altri (e la ragazza), David non sostiene l'esame e si lascerà coinvolgere a Genova in una serie di vicende ora drammatiche, ora violente ora sentimentali, che alla fine lo vedranno, un po' deluso, tornare a inserirsi nella strada che aveva lasciato. Pur pensando, in qualche modo e con altre forme, di riprenderla. Varie contraddizioni nei toni: le piccole rivolte universitarie collegate a fatica con quelle che vorrebbero essere delle rivoluzioni, il carattere del protagonista con troppe oscillazioni e scarsamente compiuto, un piccolo coro attorno in cui delle vere fisionomie stentano a proporsi, un tessuto narrativo che, ora puntando sul pubblico ora tenendosi al privato, tende a sfilacciarsi. Esitando, alla fine, anche a concludere nonostante una voce narrante tenti di tirare le somme. Segnalo comunque le facce, spesso poco note, dei tanti personaggi che costellano l'azione. Forti e risentite. Giovani, anzi adolescenti, anche nell'opera prima americana «Thirteen», di una ex scenografa, Catherine Hardwicke. Il titolo avverte che le protagoniste hanno tredici anni e la regista, che si è scritta anche il testo in collaborazione con una tredicenne figlia di un suo quasi marito, esplora tutto quello che, tra la scuola, le case e le feste, fanno e pensano quelle ragazzine sempre ribelli, già attente al sesso, alla droga ed al piercing. Con ritmi frenetici, con immagini che quel mondo ce lo rappresentano quasi in presa diretta, fino all'ossessione. Può interessare come studio dal vivo di un'età e di una condizione umana, ma rischia anche di mettere a disagio. Per il fastidio di certe verità. Ancora Italia, ma in piazza Grande. Per ricordare Franco Brusati con «Pane e cioccolata». Peccato che Nino Manfredi, malato, non fosse qui a sentire gli applausi anche per lui.

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