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di GIANFRANCO SVIDERCOSCHI UN SUO biografo scrisse una volta che Paolo VI, con l'«Humanae vitae», ...

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Le critiche a quell'enciclica - dove si esaltava l'amore coniugale ma che venne letta solo in riferimento al no alla «pillola cattolica» - furono causa di profonda sofferenza per il Papa. Montini, però, aveva rinunciato alla popolarità già prima, nell'istante stesso in cui i cardinali in Conclave lo avevano scelto. Sapeva bene che, per il fatto di dover guidare la Chiesa universale in quel momento storico, avrebbe rappresentato inevitabilmente un «segno di contraddizione». Il primo dilemma da sciogliere era lì, pronto, sul tavolo del nuovo Papa. Che cosa fare del Concilio Vaticano II? Roncalli era riuscito a inaugurarlo, a tenere la prima sessione. E, dopo il difficile inizio, era stata individuata una via maestra da seguire: il ritorno alle origini del «mistero» cristiano, il rinnovamento della Chiesa, l'apertura alla storia, al mondo. Ma c'era un rovescio della medaglia. L'assemblea conciliare si era scoperta divisa tra difensori della Tradizione e innovatori. E, quella spaccatura, si rifletteva ormai nella comunità dei fedeli, sfaldando il monolitismo di una Chiesa rimasta troppo a lungo chiusa su se stessa, come una cittadella assediata. E allora, che fare? Continuare il Concilio? Lasciar decantare la situazione per un certo periodo di tempo? O, come insisteva l'ala conservatrice, chiudere addirittura le assise? La risposta arrivò il giorno dopo l'elezione: il nuovo Papa annunciò che la «parte preminente» del suo pontificato, sarebbe stata occupata dalla prosecuzione del Vaticano II. Ebbene, quella decisione avrebbe segnato l'intero governo di Paolo VI. A cominciare dal Concilio, che il Papa, pur ricorrendo talvolta a dei compromessi, riuscì a condurre in porto. Contribuendo così a ridisegnare l'immagine della Chiesa: una Chiesa più spirituale, più missionaria, più ecumenica, universale, e, soprattutto, più vicina agli uomini, ai loro problemi. Paolo VI gettò le basi per un nuovo umanesimo, tentando un'ardita sintesi tra spirito moderno e Tradizione cattolica. Primo Papa a farlo, salì su un aereo, visitò i vari continenti. Nella sede dell'Onu, lanciò la proposta di una pace fondata anzitutto sulla giustizia, sul rispetto dei diritti umani, in modo così da sostenere lo sviluppo dei popoli del Terzo Mondo. Già nella prima enciclica, allargò i «cerchi» del dialogo, non solo alle religioni non cristiane, ma ai non credenti, e perfino al mondo comunista. Sapeva di non condurre, e lo confessò, «una politica di gloria»; ma non poteva neppure lasciare le comunità cattoliche in balia dei persecutori. Con il post-Concilio arrivarono i conflitti, le fughe in avanti, le diserzioni. Il cattolicesimo venne sconvolto da una grave crisi, acuitasi per l'insorgere di profondi cambiamenti politici, sociali, culturali. Ma Paolo VI, benché discusso, disobbedito e offeso, tenne salda la barra del timone. Difese la fede, e la legge morale, difendendo con ciò la dignità della persona umana. Fu un grande riformatore, perché non considerò mai il Concilio un punto di arrivo. E, prima ancora, fu un grande testimone del Vangelo. Inginocchiatosi dinanzi alle Brigate Rosse, per chiedere di risparmiare la vita ad Aldo Moro, compì un gesto di umiltà ma anche di aperta sfida in nome dell'amore evangelico, e senza concedere niente al ricatto della violenza. Come lui aveva chiesto, sulla sua bara venne posto un Vangelo. E all'improvviso, durante i funerali, un vento leggero cominciò a «sfogliare» le pagine del libro sacro. E, insieme, le pagine dell'avventura umana e cristiana di un Uomo, di un Papa, che, a venticinque anni dalla morte, non va dimenticato.

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