di MAURIZIO MARINI ALL'INIZIO degli studi di Chimica uno degli scherzi che si subivano da ...
...Lo svolgimento giungeva a reazioni che nella realtà non sarebbero mai accadute e che erano interdette da una domanda: «Ma che succede a casa tua quando si lavano i pavimenti?», che rivelava la presa in giro. Tutto ciò mi è tornato in mente leggendo in questi giorni alcune dichiarazioni dell'ex Ministro dei Beni Culturali e attuale Soprintendente fiorentino, Antonio Paolucci, in risposta alle accuse preventive di storici dell'arte (e non) che indicavano i danni che avrebbe subito il David di Michelangelo nel restauro che si stava preparando presso l'Accademia di Firenze. Al di là dell'estrema competenza in materia dei restauratori e dei tecnici dell'Opificio delle Pietre Dure (e non solo), il mio ricordo goliardico equivale a uno sberleffo ai «piagnoni» (di triste memoria antimedicea-savonaroliana, come io stesso li battezzai da queste colonne, negli anni tra il 1981 e il '90) del restauro degli affreschi della Cappella Sistina. Anche in quella circostanza i «piagnoni» (ancora oggi i medesimi, salvo qualche «new entry») si erano stracciate le vesti per la paventata sparizione d'inserti autografi «a secco» e per laceranti questioni di metodo sulla conservazione di fuliggini, muffe e «brache» in quanto parte della storia visiva del monumento (!). Anche in quel caso l'«équipe» vaticana, capeggiata da Gianluigi Colalucci, seguì la propria esperienza. Non vi furono reazioni acide (oltre a quelle dei «piagnoni», oggi smentite dallo splendore storico ritrovato) e, con l'abbondante uso di acqua distillata e diluenti neutri, effettuò la pulitura del sublime complesso pittorico. A proposito di diluenti neutri e acqua distillata, mi sovviene un altro episodio di restauro (stavolta incontestato) su una celebre statua di marmo, l'Ercole e Lica di Canova della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, che l'allora direttore, Italo Faldi, affidò all'ultrasettantenne decano dei restauratori, Pico Cellini. Eliminate le polveri atmosferiche stratificatesi in oltre un secolo divenendo sporcizia consistente, il risultato fu uno splendido recupero delle patine e dei chiaroscuri di un marmo alabastrino, nonché la possibilità di una rinnovata lettura della magistrale tecnica canoviana. Un vero prodigio che il Cellini aveva condotto nella più assoluta riservatezza. Alla domanda su quali solventi avesse usato, il maestro rispose: «acqua distillata e sapone neutro di Marsiglia... quello che si usa per lavare il culetto ai bambini!». Stando a ciò che ho capito sarà questa, con l'ausilio di altri diluenti inerti e modernamente già sperimentati, la tecnica che, con buona pace dei «piagnoni», sarà adottata anche per il David di Firenze. Ma Michelangelo tiene banco in queste settimane anche per la bella rassegna in corso a Roma, a Palazzo Venezia (fino al 12 ottobre), «Michelangelo tra Firenze e Roma», a cura di Pina Ragionieri, direttrice del museo di Casa Buonarroti a Firenze, e coordinatrice anche del catalogo, edito dalla Mandragora di Firenze. La mostra offre la possibilità di vedere molti disegni autografi del sommo artista e di seguire, come per i progetti di San Giovanni dei Fiorentini, l'elaborazione di un'idea architettonica in cui il titanismo visionario della senilità michelangiolesca torna a coniugarsi col mondo classico a un diapason cui non sarà possibile dare realizzazione. Anche lo scorso anno Palazzo Venezia ha ospitato un'elegante rassegna dedicata alla poetica di Michelangelo. Peraltro, non è un caso che proprio in quest'area, ai piedi del Campidoglio, l'artista abbia avuto residenza per un trentennio, fino alla fine, nel 1564. É fatto risaputo da sempre, ma, in questa estate all'insegna di Michelangelo, un quotidiano romano l'ha pubblicato come fosse scoperta fresca fresca. Buonarroti, infatti, col famiglio Carlo Urbino, abitava in un palazzetto di due piani, accosto alla chiesa di Santa Maria di Loreto, appartenente alla Confraternita dei Fornai, nel contado detto «Macel de' Corvi», per ricordare il tetro abbando