Chiara Caselli, è l'ora della regia
«Grazie ai Muccino e ai Crialese si può tentare il grande salto»
Perchè Chiara Caselli è forse l'ultima italiana che ha avuto il piacere di lavorare con lei, in «Colette» il film girato in Lituania, sulla biografia della scandalosa scrittrice francese, diretto dalla ex moglie di Jean Louis Trintignant, Nadine. Chiara preferisce parlare per il momento, anche se con la tristezza nel cuore, del suo debutto da regista, grazie a Downtown Pictures di Marco Müller che ha rastrellato nel mondo del cinema e del teatro una serie di giovani promesse in procinto di partire con dodici progetti. Tra questi una coproduzione turco-cipriota, «Fango» di Darvish Zaim (che sarà presentato al Festival di Venezia) e il kolossal «Marco Polo» di Kirk Wong scritto da Valerio Evangelisti, Fausto Brizzi e Marco Martani. Gianfranco Pannone, a sua volta, dopo il premiato film «Latina/Littoria» torna con «Sonasò», un viaggio tra la musica del Sud d'Italia. Ma anche una forte presenza di ottimi teatranti come Pippo Delbono e Marco Martinelli. Grande attesa per la prima prova di Chiara Caselli, che sarà regista di un lungometraggio (ha già realizzato però un corto nel '99, «Per sempre», vincitore del Nastro d'Argento 2000), dal titolo provvisorio de «L'isola», che forse cambierà per non confonderlo con quello di Costanza Quatriglio. Il film è stato scritto con Monica Zapelli e Jaco Van Dormael e le riprese dovrebbero iniziare in autunno inoltrato a Bologna, Napoli e Salina. Chiara, nella sua carriera ci sono stati tanti grandi nomi del cinema, da Antonioni ai fratelli Taviani. Tuttavia dimostra di essere anche molto innamorata dei giovani registi italiani. «Molto. Perchè hanno saputo ricucire quel filo di affetto con il pubblico. Parlo di Crialese, Torre, Muccino, Ozpetek, Bechis, Virzì, Garrone. Grazie a questi signori oggi debuttiamo in un clima davvero diverso rispetto al passato. È un buon momento per fare un passo del genere, anche se è difficile trovare i soldi». Ci parli della storia. È in qualche modo autobiografica? «Direttamente no, indirettamente si. Nel senso che parlo di situazioni, sogni, desideri, frustrazioni e paure che conosco. Di persone che ho incontrato e che avrei potuto essere». Una sceneggiatura sofferta? «Dietro c'è sempre un lunghissimo lavoro, io ci ho impiegato più di due anni. Alternando momenti di grande esaltazione, quando si trova la scena o l'immagine giusta e di sofferenza quando non si riesce ad andare avanti. In realtà sono tre storie. Parto da una bambina di nove anni, Anna, che lascia una città del Nord per seguire la famiglia in un'isola del Sud, dove il padre deve sostituire il medico condotto. La ritroviamo a 27 ed a 84 anni».