Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Nella Turandot toscana «Vincerò» lo canta Liù

default_image

  • a
  • a
  • a

Sfavillìo di luci e di colori, una corte imperiale modellata su algide altezze astrali, dignitari che giuocano con la sapienza e con l'orrore, sapori e profumi di morte che si confondono con gli appelli d'amore di un ignoto principe innamorato. Gli enigmi fatali, le teste mozzate di chi non sa dar risposta, uno snodarsi solenne e atroce di sentenze, che l'eredità di un immemoriale oltraggio continua a far fruttificare. Per sempre? Chi arresterà la scure del boia? Calaf, affascinato da una dea funesta? O sarà la piccola schiava Liù che con la sua sacrificale devozione incrinerà l'antico furore di Turandot, facendole comprendere che cosa sia l'amore e come d'amore si possa morire? Insomma, chi scioglierà i nodi? Il pubblico che a Torre del Lago ha assistito alla prima dell'opera pucciniana (repliche: 1, 10 e 23 agosto), consacrando con gli applausi più calorosi e convinti la splendida interpretazione di Anna Laura Longo, è come se avesse eletto Liù a vera risolutrice degli enigmi. Perché in quella morte sacrificale, figlia di una dedizione dal sapore quasi «cavalleresco», la Longo ha saputo trasmettere tali e tante vibrazioni partecipative da darle un carattere di centralità: la tenera fragilità femminile che si sposa con una intrepida determinazione diventa, affidata alla delicata persuasività della voce, il punto focale della vicenda. Dinnanzi a Liù, Calaf (Marcello Giordani) è solo un «macho» rozzo e stralunato; mentre Turandot (Maria Dragoni) percorre tutta la scala degli acuti senza riuscire a esser convincente né come «divina bellezza» né come assassina fulminata dall'amore nella piazza di Pechino. Fastosi gli scenari e i costumi di Roberto Laganà Manoli che ha curato anche la regìa, buona la direzione orchestrale di Jacek Kaspszyk, suggestivo il Coro delle Voci Bianche dell'Oratorio di Santa Rita di Viareggio.

Dai blog