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di LUCIO D'ARCANGELO DALLE graduatorie che l'Unesco fornisce anno per anno si apprende che francese, ...

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Il francese mantiene le sue posizioni in Canada e in Africa, ed il tedesco, che domina in Europa Orientale, è presente perfino nel continente africano (Namibia), mentre, come si sa, l'italiano in Somalia è ormai marginalizzato. Non parliamo dello spagnolo che minaccia la supremazia dell'inglese perfino negli Stati Uniti. Anche lingue minori come il danese cercano il loro rilancio internazionale e si attrezzano per limitare i danni della globalizzazione linguistica. Solo l'italiano secondo alcuni dovrebbe rassegnarsi a scomparire della scena e subire, magari, la sorte del latino (restando, per esempio, lingua della Chiesa). In seno alla UE - a Bruxelles si è appena concluso un convegno dedicato alle lingue di lavoro - l'italiano occupa il terzo posto, dopo francese e tedesco, ma, pur precedendo spagnolo e olandese, resta una lingua di «seconda grandezza», che ben difficilmente potrà godere di una qualche effettiva considerazione da parte dei nuovi Paesi, dieci in tutto, che entreranno nell'Unione, se non sarà sostenuta da una robusta politica di difesa e rilancio, tanto più che oggi, dopo inglese, francese e tedesco, si comincia a parlare di una quarta «lingua di lavoro»: posizione per la quale l'italiano è in concorrenza con lo spagnolo. Ma l'Italia, a prescindere da altre considerazioni, può far valere almeno due dati: la sua maggiore «anzianità» in seno alla UE, di cui è socio fondatore, e il maggior numero di parlanti (20 milioni in più). L'italiano non è stato una lingua «imperiale» come spagnolo, francese e inglese. Ma non è neppure una lingua nazionale minoritaria come il danese o l'albanese, che storicamente accerchiato, per così dire, da una dozzina di lingue di maggior prestigio, si ritrova con un vocabolario di solo 600 parole non di prestito. L'italiano conta 57 milioni di parlanti, più della Francia e della Gran Bretagna, con un bacino potenziale di utenza valutato sui 120 milioni di parlanti. È tra le lingue comprimarie dell'Unione (nel 1980 un'inchiesta della stampa francese le assegnava il terzo posto come possibile «lingua europea») ed una delle lingue ufficiali della Confederazione Elvetica. La Corsica, che fino al 1768 faceva parte della repubblica di Genova, è stata ed è in parte di lingua italiana. L'italiano, infine, è ancora vivo a Malta e non è del tutto sparito nelle ex-colonie africane. Inoltre è una delle lingue più conosciute nell'ambito del Mediterraneo. L'italiano, giova ripeterlo, è una grande lingua di cultura (una delle otto lingue più studiate nel mondo). La letteratura italiana è vista nel mondo come la terza letteratura classica e universale, dopo la greca e la latina. L'arte, l'opera lirica e in tempi più recenti, la moda e il cinema, hanno parlato italiano al mondo, senza contare l'Umanesimo e il Rinascimento, conosciuti e studiati dappertutto. Oggi il fascino esercitato dalla nostra lingua è dovuto anche al prestigio acquisito da alcuni settori trainanti della nostra industria; ed anzi si può dire che economia e cultura siano sinergiche in quanto l'apprezzamento del made in Italy dipende largamente da quel gusto artistico che all'estero viene considerato una prerogativa del nostro Paese. Ma per poter competere con le altre lingue occorre rimettere in circolazione il patrimonio linguistico nazionale, abbandonato per fretta, pigrizia, o peggio, ignoranza, proprio in quei settori di maggiore influenza sull'uso comune. Occorre difendere e promuovere dappertutto l'uso della «buona lingua», che non è un'invenzione dei puristi. Soltanto valorizzando la nostra lingua, difendendola cioè all'interno, potremo poi pensare di promuoverla all'estero e di godere di un rapporto paritario con le altre lingue dell'Unione.

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