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di GIAN LUIGI RONDI A Hollywood aveva avuto successo.

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Le sue origini, però, i suoi studi e i momenti più intensi del suo cinema erano totalmente inglesi. Non a caso difatti, il film con cui aveva esordito, «Una maniera d'amare», subito premiato con l'Orso d'Oro al Festival di Berlino, partecipava fino in fondo dei modi, del gusto e dello stile di quello che già si stava definendo il «british free cinema», con attenzioni spiccate per il quotidiano, per la cura delle ambientazioni e, soprattutto, per il disegno sempre molto attento delle fisionomie dei singoli personaggi, specie quando dovevano intrecciare sottili e spesso difficili rapporti interpersonali. Sempre «free cinema», pur con gli accenti della commedia, sarebbe stato il film seguente. «Billy il bugiardo», divertente ritratto della mediocrità di una certa classe media inglese, disegnato sempre però con levità, e con un garbo che si vietava, anche nei momenti più scoperti, la parodia. Mentre, forte dei consensi ottenuti, ecco Schlesinger cimentarsi, sempre a Londra, in uno spettacolo in grande, «Via dalla pazza folla» che doveva fra l'altro confermarci le doti di Julie Christie portata l'anno prima fino all'Oscar con «Darling», un'opera a mezza strada tra il free cinema e la Nouvelle Vague. Da qui il primo tentativo di cimentarsi con Hollywood, con «Un uomo da marciapiede» appunto, intento a lacerare il mito americano, senza cedere però mai al melodramma. Pur ben risolto, non era comunque un film nelle corde più autentiche del suo autore. Lo fu, invece, e a pieno titolo «Domenica maledetta domenica», di nuovo girato in Gran Bretagna e rimasto il momento più alto, più sentito e più sincero della poetica di Schlesinger. Lo conobbi in quell'occasione perché il film venne a presentarmelo a Venezia in quel '71 in cui, per la prima volta, diressi la Mostra del Cinema. «Per me - mi disse - è stato un vero ritorno a casa. A Hollywood tutto è più semplice, ti rendono tutto più facile, però se non stai nei loro schemi, se pensi di testa tua, allora ti mettono in disparte. I film, lì, non li fanno gli autori, sono solo il risultato di una catena di montaggio». Non tardò, però, a lasciarsi nuovamente coinvolgere in quei meccanismi di cui pure aveva così bene intuito i rischi. Di nuovo Hollywood, di nuovo altri film preoccupati di rimanere spettacolo, sia pure, con un segno, un'impronta e una firma che riuscivano quasi sempre a dimostrare la fedeltà di Schlesinger a sé stesso. Nel «Giorno della locusta», ad esempio, da un romanzo di Nathanael West, nel «Maratoneta», in cui a Dustin Hoffman aveva tenuto ad affiancare Laurence Olivier, per arrivare alla fine degli Ottanta a costruire attorno a Shirley MacLaine il dramma patetico di una insegnante di piano, «Madame Sousatska», forse un po' dotato ma realizzato con fervore tale da far vincere alla protagonista la Coppa Volpi per la migliore attrice alla Mostra di Venezia. Fino a concludere i Novanta con un giallo, «La prossima vittima», in cui una madre, interpretata da Sally Field, si faceva giustizia da sé dopo aver visto tornare in libertà l'assassino di sua figlia. Hollywood anche qui, e proprio con le sue catene di montaggio. Adesso, però, nel momento in cui entra definitivamente nella storia del cinema, John Schlesinger, nato a Londra, diplomato a Oxford, sarà ricordato come l'autore di «Una maniera di amare», di «Billy il bugiardo», di «Domenica maledetta domenica», tre film che fra il Sessanta e il Settanta, per la Settima Arte hanno segnato una tappa.

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