Gigli, Callas, i tre tenori e gli orpelli dell'Aida
La sera del primo d'agosto 1937 la bacchetta di Oliviero de Fabritiis stacca il tempo, e per la prima volta opera fu a Caracalla. Con una «Lucia di Lamermoor», protagonista Toti Dal Monte, inizia la saga dell'opera all'aperto a Roma, per la verità un po' in sordina. Per il primo anno appena due allestimenti - l'altro è «Tosca» - e cinque repliche in tutto. Allora la stagione non si svolgeva nel calidarium, ma in una delle palestre laterali, probabilmente quella di sinistra. Tuttavia subito appaiono chiare le potenzialità: l'anno sarà ben altra cosa. «Il teatro dei ventimila», titolano i giornali a tutta pagina, e i posti erano per l'appunto 19.992, la stagione del '38 inizia il 30 giugno e termina il 6 agosto, il palcoscenico è trasferito nel calidarium, sei i titoli in programma per decine di repliche. All'entrata spicca un grande cartello con su scritto «Teatro del popolo» e i prezzi sono davvero popolari: è il regime che incensa se stesso. Com'è noto Mussolini da giovane non amava l'opera ma nel «paese del melodramma» una politica populista e nazionalista come la sua del melodramma non può fare a meno. È Mussolini a fare del Costanzi il Teatro Reale dell'Opera, e ad affidargli poi la stagione estiva all'aperto, mentre già dal 1935 l'Accademia di S. Cecilia aveva iniziato i suoi concerti estivi alla Basilica di Massenzio. Una politica che non dovrebbe suonarci nuova: che il Duce abbia inventato quella che oggi chiamiamo l'Estate Romana? Subito Caracalla si distingue per gli allestimenti spettacolari: fa epoca la messa in scena nell'«Iris» di Mascagni del sole che sorge, realizzato con delle palme argentate mosse da giovani coriste abbigliate da vestali. Sempre nel '38 arriva per la prima volta nel calidarium «Aida», che diventerà titolo distintivo e simbolo di Caracalla. Non a caso dopo cinque anni d'interruzione a causa della guerra (1940-44), è ancora la saga della bella etiope a riaprire i battenti nel '45, con Maria Caniglia/Aida e Fedora Barbieri/Amneris. I grandi erano di casa nel Calidarium, perché certo serviva una voce potente, ed ecco che Gigli, Lauri Volpi, Cossotto, Bergonzi, la Callas diventano i mattatori delle terme romane. Infine, nel primo dopoguerra Caracalla assurge a meta turistica, e negli anni '60 ad attrazione di moda. Vip e vippettoni approdano nella platea estiva, i prezzi crescono e pur di ascoltare i loro beniamini molti melomani si adagiano nei prati circostanti. Faraonici gli allestimenti: si rammenta una «Turandot», regia di Bussotti, dove Gwyneth Jones cantando scendeva una lunga e ripidissima scala portandosi appresso un mantello altrettanto lungo, che srotolandosi prendeva le sembianze d'un enorme drago, simbolo della terribilità dell'eroina pucciniana. Gli anni '70 portano i primi mugugni: a molti sembra ingiusto che un sito archeologico così importante sia usato come teatro, esponendolo a possibili danni. È un lungo braccio di ferro tra il sovrintendente La Regina e l'Opera di Roma. La partita termina nel 1993 con la chiusura di Caracalla decisa dal ministro Ronchey. Dell'ultimo periodo è giusto ricordare nel '90 il concerto di Pavarotti, Domingo, Carreras, che da Caracalla diede avvio all'operazione «tre tenori». L'ultima volta è stata «Cavalleria rusticana». È ora si ricomincia.