E Mussolini a Feltre era staffilato dai «Nein duze» di Hitler
Il quattordicesimo incontro del Duce con Hitler, a Feltre, ebbe questa cornice, il 19 luglio 1943. Gli Alleati erano sbarcati in Sicilia nove giorni prima e le difese italo-tedesche avevano ceduto. L'Asse era ormai una vuota espressione politico-militare. Non soltanto il Capo di Stato Maggiore Generale, Vittorio Ambrosio, sollecitava lo sganciamento dalla Germania; più facile a dirsi che a farsi. Mussolini, si era chiuso in un impenetrabile silenzio. All'arrivo nell'aeroporto di Treviso (il rendez-vous con Hitler aveva comportato un complicato spostamento, prima in aereo, poi in treno, infine in auto), il Duce era stato accolto freddamente dal personale militare: un comportamento al limite della insubordinazione. Ma il peggio doveva ancora venire. Con una serie di «Nein, Duze», pronunciati in modo gutturale, Hitler aveva investito l'alleato con gravi accuse. Gli italiani secondo il Führer, non erano neppure in grado di difendere gli aeroporti e intere squadriglie della Luftwaffe erano state distrutte a terra; la disorganizzazione regnava sovrana anche in altri settori. Seduto su una poltrona troppo profonda, le mani incrociate sulle ginocchia, Mussolini ascoltava quella requisisitoria, con un misto di mortificazione e di rassegnazione. Fu durante questa concitata esposizione del dittatore tedesco che venne consegnato un messaggio a Mussolini, il quale disse: «In questo momento gli Alleati stanno bombardando violentemente Roma». Hitler si interruppe per un attimo — «La pagheranno cara», farfugliò — poi proseguì con le sue inventive. «Non vorrei che i romani pensassero...», confidò il Duce ai suoi collaboratori. Che cosa? Che si trovasse lontano dalla capitale, per sottrarsi alle bombe. Banale preoccupazione, in quella situazione, dove c'era ben altro in gioco. Le sollecitazioni rivolte a Mussolini di parlare chiaro, di rappresentare l'impossibilità, da parte dell'Italia, di proseguire nella lotta, rimasero lettera morta. Alla fine, qualcosa disse, ma non a Hitler. «Sganciarsi? Denunciare l'alleanza col Reich? I tedeschi reagirebbero comunque». Almeno in questo, il Duce fu facile profeta. «La causa è comune!», disse Mussolini, prima che Hitler ripartisse: una vuota dichiarazione anche questa. In tutta segretezza, la Wehrmacht aveva già definito il «Piano Alarico» (dal nome del re dei Visigoti che nel 410 d.C. aveva saccheggiato Roma) per fare irruzione nella penisola, con divisioni richiamate anche dal fronte russo, oltre che dalla Francia e dalla riserva generale. Il segnale sarebbe stato dato di lì a una settimana, dopo la caduta del fascismo e l'arresto di Mussolini a Villa Savoia.