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di LUCIO D'ARCANGELO BEN POCHE lingue dell'antichità hanno suscitato un interesse così costante ...

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Anche in base alle testimonianze latine si è creduto per molto tempo che gli Estruschi provenissero dall'Asia Minore e per conseguenza la loro lingua fu creduta affine agli idiomi di quei territori. Altri linguisti invece, tra cui il nostro maggiore etruscologo, Massimo Pallottino, hanno ritenuto l'etrusco una lingua «autoctona», affine agli altri idiomi preindoeuropei della penisola. Il problema della «parentela» è stato al centro della decifrazione dell'estrusco, poiché la comparazione rappresenta il metodo più sicuro per trovare la chiave di una lingua scarsamente attestata. Ma non ci si è limitati a comparare l'etrusco con lingue morte. Alcuni linguisti, primo fra essi Alfredo Trombetti, hanno chiamato in causa il basco e gli idiomi del Caucaso. Queste comparazioni tuttavia non hanno dato risultati convincenti, tanto che non pochi studiosi, tra cui lo stesso Pallottino, hanno preferito dedicarsi ad una ricostruzione puramente «interna», meno rischiosa, ma con esiti se non proprio ipotetici, probabilistici. Ciò non toglie naturalmente che la decifrazione dell'etrusco abbia fatto registrare consistenti progressi: alcune caratteristiche della lingua sono abbastanza chiare, come ad esempio la mancanza dell'opposizione sorda/sonora. Molti aspetti della morfologia restano invece ambigui e sfuggenti, mentre il resto - lessico e sintassi - è del tutto carente. L'impasse in cui si dibattono gli studiosi è dovuto non tanto e non soltanto alla scarsità del materiale documentario, quanto al suo carattere. Si tratta infatti quasi sempre di epigrafi funerarie e formulari che danno un'immagine forzosamente parziale della lingua. Sarebbe come se fra qualche millennio qualcuno volesse ricostruire l'italiano sulla base di espressioni come «questa lapide pose». Tuttavia, queste difficoltà non sembrano scoraggiare gli studiosi, anzi. Non è mancato chi ha sostenuto addirittura che l'estrusco sia una lingua indoeuropea. Ed ora Mario Alinei, autore di un libro uscito in questi giorni, «Etrusco» (Il Mulino), sostiene che l'etrusco è «una forma arcaica di ungherese»: ciò in base alla sua (rivoluzionaria) teoria sulle origini delle lingue europee, collocate nel Paleolitico. Ma se anche questa parentela fosse quella giusta e, accettando la teoria di Alinei, niente impedisce che lo sia, resterebbe sempre il fatto che le parole pervenuteci sono troppo poche e circoscritte per darci un'idea dell'«individualità» di questa lingua, che possiamo solo immaginarci. Così Alberto Savinio, contrapponendo i «romantici» Estruschi ai Romani, definiva il loro idioma un «pispiglio di uccelli», citando alcune parole più o meno decifrate: «arakos» (avvoltoio), «arimos» (scimmia), «aguletora», parola dal dolce suono, forse di voce femminile che parla a un bambino, «falado», per spiegare che un morto parla dal cielo.

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