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Rum, donnine, dittatori e premi Nobel

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All'epoca, la «Perla delle Antille» era ancora sotto dominazione spagnola e l'isola era percorsa da bande di ribelli, una costante, questa, della reale politica cubana. Nel 1898, gli Usa (in applicazione della dottrina Monroe «L'America agli americani») mossero guerra alla Spagna, dopo un incidente, sembra provocato a bella posta: la corazzata «Maine» saltò in aria nel porto dell'Avana e questo fu il «casus belli». Cuba, a un tiro di schioppo dall'estremità della Florida, venne rapidamente «inquadrata» e diventò una «enclave» dei ricchi statunitensi. Il colore non mancava: musica, rum a fiumi e donnine allegre. Vi trovò ispirazione Hemingway per il suo «Il vecchio e il mare» e Cuba, per il premio Nobel per la Letteratura nel 1954, ebbe la stessa importanza dell'Italia («Addio alle armi»), della Spagna («Fiesta» e «Per chi suona la campana»), del kenia («Verdi colline d'Africa»). Il bar preferito di Hemingway è meta per i turisti, ancora oggi. Nel frattempo il barometro politico nell'isola segnava sempre tempesta; la parola «libertà» era cancellata nel dizionario. Fulgencio Batista, un soldataccio furbo e corrotto, balzò alla ribalta nel 1940 e non lasciò la presa per i successivi quattro lustri: Batista, come Trujllo, Duvalier, Jimenez e altri consimili personaggi caraibici. Chi, in modo scanzonato ma caustico, colse lo spirito di quegli anni, fu un altro scrittore, l'inglese Graham Greene, con il suo «Il nostro agente all'Avana». A parte i paradossi del racconto, vi si vedeva in controluce la ferocia della polizia di Batista, perché innumerevoli furono le esecuzioni e le sparizioni, sotto il castello del Morro, all'Avana. Nella clessidra stava esaurendosi il tempo a disposizione del dittatore e dalla Sierra incombeva Castro — poco più che trentenne — con i suoi «barbudos». Il I° gennaio 1959 la rivoluzione di Castro trionfò e se il nuovo corso era stato accolto con favore, dai circoli progressisti degli Stati Uniti, le cose volsero subito al peggio. Con Kennedy alla Casa Bianca, arrivò la rottura: prima l'infelice sbarco degli anticastristi nella Baia dei Porci, poi — molto più seria — la crisi dei missili, dell'ottobre 1962. Il mondo arrivò a un passo dalla guerra totale e, faticosamente, la crisi fu superata. Ma la ferita rimase ed è tuttora aperta, con l'embargo a Cuba tanto più che, negli ultimi tempi, si è registrato un giro di vite da parte del vecchio dittatore, con esecuzioni sommarie e arresti. La parola «libertà», come sotto gli spagnoli, durante il dominio di Batista e gli oltre quarant'anni di Castro, è sempre un mito. In Florida si è insediata, da tempo, una consistente comunità cubana, ovviamente anticastrista, che ha procurato ricorrenti grattacapi alla Casa Bianca. Quanto ai paradossi, il più clamoroso è rappresentato dalla presenza a Cuba della base statunitense di Guantanamo, mai messa in discussione, anche quando i sovietici erano alleati di Castro: oggi, «ospita» (si fa per dire) gli irriducibili di Saddam, presi prigionieri in Iraq.

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