di MARIO BERNARDI GUARDI ACHILLE Campanile si è ormai conquistato una prestigiosa nicchia ...
ma non ci siamo un po' dimenticati di Giovanni Mosca, che tra l'altro ha collaborato a lungo con questo giornale? Perché questo delicato e garbato umorista non conosce la stessa fortuna dei suoi illustri colleghi? Signori che confezionate «riscoperte», crediamo sia il caso di ridare a Mosca quel che si merita. Tanto per cominciare, si potrebbe far leggere ai ragazzi un libro come «Ricordi di scuola». Noi siamo assolutamente convinti che andrebbe tutto a vantaggio della salute del cuore: e, va detto chiaramente, proprio perché ci si trova di fronte a una edificante storia di vita vissuta. Edificante perché vera, con una sua morale che non ha nulla di stantio, con un'analisi del mondo infantile che non ha bisogno di perdersi nei meandri della psicologia per cogliere nel segno. Mosca si fa voler bene, perché in lui c'è la stoffa del maestro: e chi è passato dalle elementari di una volta ed è stato fortunato, sa quel che voglio dire. C'è poi, tutto da gustare, il Mosca del «Bertoldo», nato il 14 luglio 1936 e destinato a morire sette anni dopo in mezzo ai bombardamenti. Quanta gente c'era, insieme a lui e a Vittorio Metz, che dirigevano l'orchestra! Walter Molino, Giuseppe Marotta, Marcello Marchesi, Carlo Manzoni, Dino Falconi, Giaci Mondaini, Massimo Simili, Ferdinando Palermo, Saul Steimberg... Che bella fioritura d'umorismo nell'Italia littoria! Mosca dirigeva e il Ministero della Cultura Popolare vigilava, ma, nel complesso, tollerava. Cominciò a tollerare un po' meno quando scoppiò la guerra e il Nostro fu richiamato all'ordine da Mezzasoma che trovava da ridere su certe inopportune provocazioni di Guareschi, sparate dalla rubrica «Cuore». Comunque Mosca, che nel dopoguerra avrebbe seguito Giovannino nella italianissima avventura del «Candido» (immacolato come la voglia di libertà e di anticonformismo), già stava affilando le armi come scrittore. «Ricordi di scuola» è del '40 (vent'anni dopo era alla 25ª edizione); del '41, invece, e sempre per i tipi della Rizzoli, è un libro molto meno noto ma ugualmente degno di attenzione: «Non è ver che sia la morte...». Che cosa? «Il peggior di tutti i mali», ovviamente; e Mosca si impegna a dimostrarlo con queste variazioni sul tema, che godono dell'accompagnamento dei versi «dei nostri migliori poeti, i quali commentano e sottolineano la vicenda or con tenui violini, or con squillanti trombe, or con incanti d'arpe». Già, ma cosa racconta la vicenda? Queste sono domande fuori luogo: in presenza di un Mosca, si viene a chiedere una storia con la sua trama stiracchiata, precisa e compita compita? Cari amici, per approssimarsi al cuore della realtà e sentirlo battere, bisogna frequentar l'assurdo: e amabile gentaccia come Guareschi, Campanile, Metz, Manzoni (Carletto, non Alessandro) ci portano a giro da quelle parti. Tra spiriti bizzarri e follie più vere del vero. Prendiamo «Non è ver che sia la morte...». Un assaggio solamente, per stimolarvi ad andare a cercar subito il libro (se lo trovate in libreria va bene: altrimenti ci sarà sempre un amico da derubare...). Un cimitero. Un corteo funebre. «Che morto simpatico!», dice il becchino Antonio movendogli allegramente incontro, «Qua, que, gli vogli scavare la fossa con una pala d'argento». Trac dal ripostiglio una pala che sfavilla al sole. E, rivolto ai parenti: «Gliela scaviamo in questo praticello?». «Sì — rispondono — questo praticello ci sembra molto grazioso. Quanti fiori! Che erbetta nuova e tenera!». «Vorreste morire anche voi, eh?», ride il becchino. No, loro non vogliono anticipare, ma quel becchino è un tipo davvero speciale.