Josephine, la donna che regnò su Bonaparte
Fu il suo incontro con una donna elegantemente spavalda e molto in vista che gli avrebbe mutato radicalmente la vita e resa assai più rapida la sua già brillante carriera. Ecco che appariva Marie-Josèphe-Rose, nata Tascher de La Pagerie! Era chiamata Joséphine. Era vedova di un visconte ghigliottinato in pieno Terrore, Alexandre de Beauharnais. Lo aveva sposato giovanissima dandogli due figli, Eugenio e Ortensia. Su di lei stessa, rinchiusa nelle carceri della Concièrgerie, stava per abbattersi la medesima sorte. Ne ha ripercorso sapidamente gli eventi della vita una scrittrice che ha insegnato alla Columbia University, Carolly Erickson, in «L'imperatrice creola». Buonaparte la occhieggiava istupidito, con l'animo in fiamme per la veemenza dell'improvvisa passione. Non le staccava gli occhi di dosso, visione sovrannaturale e deliziosa. Lei gli aveva fatto sentire il canto del gallo, e lui se ne era invaghito sebbene gli apparisse ancor legata al più autorevole componente del Direttorio, il visconte Barras. Non era, l'odalisca, una delle sue amanti? In realtà quell'intrigo amoroso si era già spento, e fu addirittura Barras a parlargli della viscontessa: «Giuseppina vi servirà di appoggio. Essa fa parte sia della vecchia sia della nuova società». Ci si poteva fidare di quel Barras, così tronfio? Moralmente, diceva di lui Buonaparte, non era nulla di buono poiché alla indubbia perspicacia univa la malvagità e la cupidigia dell'arrampicatore. E soggiungeva: «È infinitamente immorale, svergognato, debosciato, ladro e omosessuale». Non si poteva dire che lei fosse molto bella, ma si comportava come se lo fosse rimirandosi ognora negli specchi che numerosi l'attorniavano fra mille luci. Profumandosi. Indubbiamente aveva grazia, una voce cinguettante, labbra purpuree, dolcezza e fascino, quel fascino sottilmente perverso fatto anche di languore, che rende la donna quanto mai irresistibile, per cui ancor prima di Barras molti altri erano caduti ai suoi piedi. Era una creola. Proveniva da una piantagione di canna da zucchero della Martinica, Trois-Ilets ai Tropici, e anche questo fatto confuse la mente di Buonaparte — ancora provinciale — per cui si trovò a farle una corte stringente nei fastosi e festosi ricevimenti indetti dalla straniera che lo colpiva per lo sguardo lampeggiante pari allo scintillio delle stelle, il colorito olivastro del viso, le labbra di un carminio acceso e per il seno vistoso, ricolmo, scolpito in alabastro. Non a caso aveva conquistato tutta Parigi. E a lui Shakespeare suggeriva un verso: «Il mondo non ha una più adorabile creatura». Carolly Erickson «L'imperatrice creola» Mondadori 369 pagine, 18 euro