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Fanghi e massaggi bagni e creme poi la paura di pagare un conto astronomico anche per i genitori invitati con lei

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Quella che non è mai ricorsa al bisturi del chirurgo estetico per correggere i difetti o migliorare i pregi. Perché lei, Sabrina Ferilli, vuol essere proprio come mamma l'ha fatta: bella, determinata, solare. Senza finzioni o rifacimenti. Le chiediamo di raccontarci un'estate della sua vita che le sia rimasta particolarmente impressa nel ricordo, che non riesce a dimenticare. «C'è stata davvero per me un'estate magica, che ogni tanto ricordo con nostalgia e tenerezza. Quella dell'anno in cui avevo appena finito di girare "La bella vita", il film di Virzì che mi ha lanciata come attrice dopo "Caramelle da uno sconosciuto". Ero frizzante e scoppiavo di gioia. I miei primi soldini guadagnati dopo tanta gavetta, la soddisfazione di dire a babbo e mamma "Avete visto che per il cinema ci sono tagliata e che ce la sto facendo?", e poi i progetti, i copioni da vagliare, i giornali che mi cercavano per le interviste. Insomma, mi sentivo davvero importante. Soprattutto quando mi telefonarono a casa, la mia prima casa da single, per invitarmi in un grande albergo di Ischia». Un albergo di lusso? «Mamma mia, se ci penso mi vengono ancora i brividi. Un albergo magnifico, a cinque stelle, di quelli col facchino che ti porta anche la borsetta, la cameriera che viene in camera a vedere se hai bisogno di lavare la biancheria e tre camerieri ai tavoli. Per me, che d'estate con la famiglia andavo in una pensione a Riccione e, colpo massimo di vita, in gita a San Marino con la piadina al prosciutto per merenda, quella vacanza sembrava un miraggio». Ma era invece pura realtà. Come andò? «Mi avevano invitata a Ischia per un servizio fotografico commissionato da un noto settimanale femminile, e il proprietario dell'albergo mi disse che avrei potuto portare con me anche un amico o il fidanzato. Io stavo uscendo da una storia durata anni e non avevo proprio nessuno. Così chiesi se potevo portare mamma e papà. Mi risposero di sì e allora telefonai alla mamma: "Fai le valigie tue e quelle di papà, che si parte". Sulle prime lei pensò a uno scherzo. Ma poi quando capì che facevo sul serio, disse: "Vabbè, partiamo, non sono mai andata in un grande albergo, speriamo di avere gli abiti giusti per non sfigurare"». Quanto tempo rimaneste a Ischia? «Dieci giorni. Di bagni, di fanghi, di creme, di massaggi, ma soprattutto di cibo fantastico, perché il cuoco di quell'albergo aveva il cosiddetto "cucchiaio magico" e cucinava alla maniera mediterranea in modo fantastico, tanto che ingrassai tre chili». Abituata a Riccione e alla pensione familiare, non ebbe qualche difficoltà a vivere in un ambiente frequentato da gente di un certo tipo? «No, più che altro, mano a mano che passavano i giorni mi veniva la fifa, perché non ero sicura di avere capito bene in che cosa consistesse l'ospitalità e temevo che, alla fine della vacanza, ci presentassero un conto lungo una casa, che noi non avremmo mai potuto pagare, nemmeno facendo la colletta fra gli amici. Avevo adocchiato dietro la porta della camera i prezzi del soggiorno: da settecentomila lire a un milione al giorno, la paga per quindici giorni di lavoro di un operaio. Già immaginavo la scena: io alla reception a fare le public relations, mamma in cucina e babbo a portare le valigie, per pagare il debito. Non ci dormivo la notte e non riuscivo neppure a godermi quel lusso in santa pace». Come se la cavò, alla fine? «Un giorno presi il coraggio a due mani e telefonai all'ufficio stampa dell'albergo. Dissi timidamente: "Scusate, qui i giorni passano, il conto s'allunga, ma io che devo fare?". Loro mi tranquillizzarono, confermandomi che ero ospite in tutto e che il servizio fotografico che testimoniava la mia presenza in quell'albergo era sufficiente per sdebitarmi». In un certo senso fu uno scambio pubblicitario. «Sì, e con quella conferma io mi sentii alleggerita di dieci chili, anzi sette perché tre li

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