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di CARLO SCARINGI INFURIAVA la guerra, sessant'anni fa, in quel tratto del Mediterraneo ...

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Sulla costa africana gli Alleati, dopo avere sbaragliato i tedeschi di Rommel e gli italiani a El Alamein, aspettavano il momento giusto per attraversare il mare e sbarcare in Sicilia. Intanto avevano preparato il terreno facendo arrivare dagli Stati Uniti alcune centinaia di italiani con qualche conto in sospeso con la giustizia: in molti casi si trattava di piccola manovalanza del crimine, ma non mancavano i «pezzi da novanta», da Lucky Luciano a Vito Genovese, il cui aiuto si rivelò prezioso per le truppe alleate. Fu così che quando, nei primi giorni del luglio 1943, cominciarono gli sbarchi in Sicilia, gli angloamericani trovarono un'accoglienza favorevole da parte della popolazione e della «onorata società», la cui organizzazione si mise subito al loro servizio. Dopo avere risalito gran parte della Penisola insieme agli angloamericani, i mafiosi furono rispediti in America per scontare le condanne provvisoriamente sospese, ma una volta conclusa vittoriosamente la guerra il governo di Washington volle pagare il suo debito di riconoscenza nei loro confronti e ne rispedì in Italia quasi seicento. Gli «indesiderabili» arrivarono per nave, insieme alle scatolette del Piano Marshall. Viaggiarono in classe turistica, con un piccolo gruzzolo in ricordo di anni di baldoria e di delitti, e si stabilirono in piccoli paesi del Meridione, soprattutto in Sicilia, dove vissero in povertà, qualcuno rimuginando antiche vendette, la maggior parte cullandosi nella nostalgia dell'America lontana. Solo pochi fortunati, come Lucky Luciano, continuarono a vivere come erano sempre vissuti, tra ristoranti alla moda, belle donne, cavalli e scommesse; una passione, quella delle corse di cavalli, che il boss si portò dietro fino alla morte, quando un infarto lo stroncò all'ippodromo di Agnano. Sulle tracce di questi «indesiderabili» si pose negli anni Cinquanta Gian Carlo Fusco, straordinario narratore e giornalista specializzato in fatti di costume e di malcostume. Fusco passò intere giornate con loro, soprattutto con i più poveri e sconosciuti, i manovali dimenticati della grande stagione del gangsterismo italoamericano, quando l'America era stata messa in ginocchio dalle malefatte di Al Capone, genio del crimine incastrato dalla giustizia grazie a una banale questione di tasse non pagate. Adesso, a cinquant'anni di distanza, quell'inchiesta torna alla luce in un volumetto intitolato appunto «Gli indesiderabili» (Sellerio, 158 pagine, 9 euro), nel quale Fusco offre la prova migliore delle sue inimitabili qualità di cronista. Attraverso le storie di una decina di gangsters in pensione, egli dipinge con vivezza un'epoca al tempo stesso violenta e romantica, raccontata con le parole dei suoi stessi protagonisti. C'è il vecchio gangster Frank Frigenti che tenta di estorcere a giornalisti creduloni in cerca di scoop qualche migliaio di lire promettendo loro una valigia di documenti che naturalmente esiste solo nella sua fantasia. E c'è un piccolo boss come Salvatore Di Fonzi, che negli anni Trenta tutti chiamavano, racconta Fusco, «Saver Li Fonzi, detto Surgy (abbreviazione di surgeon, chirurgo ndr) per la sua riconosciuta bravura col maneggiare gli arnesi del mestiere: coltello, rasoio, lesina da calzolaio, ago curvo da veleria fissato a un manico di legno duro, punteruolo spezzaghiaccio, qualsiasi lama di fortuna». Fra i tanti personaggi incontrati da Fusco c'è anche Napoleone "Lu" Grisafi, rimpatriato nel 1952 senza una lira in tasca. Fu salvato dalla miseria più totale da un maresciallo dei carabinieri che gli procurò un posto di guardiano in una masseria : ebbe così un tetto e un pasto caldo, ma questo non fu sufficiente a metterlo al riparo dall'odio, un odio antico e inestirpabile, a causa del quale sarebbe stato ucciso nel 1955, al termine di una lunga catena di vendette trasversali.

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