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di EMMA SANCIS PERCHÉ chi possiede una Harley-Davidson le è così maniacalmente affezionato? ...

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Di questo parliamo con Willie G. Davidson, mitico discendente di uno dei due cofondatori della casa produttrice della mitica H-D, di cui è vice-presidente, oltre ad essere il progettista dei modelli sfornati negli ultimi tre decenni. Davidson, uno di quegli uomini che si identificano totalmente con l'articolo che vendono, ha 70 anni, è nato e vive a Milwaukee (Wisconsin) e ha tre figli. Perché, secondo lei, le Harley-Davidson hanno avuto tanta fortuna? «Perché interpretano un certo stile ribelle, da cow-boy o da fuggitivo. In America queste sono tendenze molto diffuse, e pertanto noi facciamo di tutto per adeguarci ad esse. Io stesso mi sono sempre sentito in sintonia con questo spirito, e in passato portavo i capelli lunghi e una grande barba». Lei personalmente cosa ci trova di tanto speciale in questa motocicletta? «Io ne sono innamorato, e per spiegarle perché, ci vorrebbe almeno un'ora. Ma sintetizzando, le dico solo che ciò che m'incanta di essa è il suo aspetto, il suo rumore e come ci si sente quando se ne guida una». Che cosa ricorda di suo nonno? «Il nonno morì quando io avevo cinque o sei anni, ma mi ricordo due cose: aveva una casa molto grande e una splendida villa di vacanza fuori Milwaukee. Eppure era partito, insieme a due fratelli e all'amico Harley, da un capannone nel giardino di casa sua: fu lì che misero a punto il primo motore Harley e lo applicarono a un telaio di bicicletta, creando una motocicletta a un cilindro. Poi, nel 1908, vi aggiunsero un secondo cilindro, e così nacque lo stile Harley, il motore V-Twin che emette un rumore particolare, molto simile al battito del cuore». I centauri fedeli alla H-D mettono un po' di paura, con le loro tute di pelle nera e i caschi tedeschi... «Tutto ciò che esce dalla nostra fabbrica esprime un certo spirito ribelle. È un tratto che ci ha sempre contraddistinti. Dopo la seconda guerra mondiale i soldati tornati dal fronte continuavano a indossare la giacca dell'uniforme militare, ed essa ci ispirammo per disegnare la nostra giacca di pelle nera, che divenne rapidamente la "divisa" dei motociclisti e da allora è rimasta quasi identica. Lo so, a volte i nostri chapters possono fare un po' paura, ma le assicuro che nei grandi raduni come quello che si terrà a Milwaukee alla fine di agosto essi sono molto tranquilli. L'abito e l'immagine che vogliono dare di sé sono solo segni di appartenenza. Una Harley è tutto fuorché discreta, e penso che i nostri clienti siano persone a cui piace appunto questa appariscenza». È un mondo essenzialmente maschile? «Sì, negli Stati Uniti le donne sono solo il 9 per cento dei nostri clienti». Nei film capita spesso che il "cattivo" cavalchi una Harley-Davidson. Ha mai fatto causa a uno studio cinematografico? «No. Tutto cominciò a Hollister, una cittadina della California, dove nel 1948 si riunirono diverse centinaia di "harleysti", che alzarono troppo il gomito e si abbandonarono ad alcuni eccessi. La stampa diede grande risalto a quei fatti e da allora gli assembramenti di centauri a cavallo di Harley-Davidson sono immediatamente associati a intemperanze e disordini. E poi, per rincarare la dose, nel '54, uscì il film con Marlon Brando, "Il selvaggio". Anche se non era una Harley-Davidson, era comunque una motocicletta di grossa cilindrata, e non tutti sanno distinguere una marca dall'altra. "Il selvaggio" si ispirò proprio ai fatti di Hollister. Poi Dennis Hopper girò "Easy rider", dove lui e Peter Fonda cavalcavano due rombanti H-D. Tutto questo contribuì a diffondere l'idea romantica dei motociclisti come di persone che si pongono fuori della legge. Ma tutto sommato non penso che questo ci abbia fatto cattiva pubblicità».

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