di CARLO SGORLON FERRUCCIO Parazzoli, l'autore di spicco del libro «I demoni» (vi sono anche ...
I suoi volumi sono sempre una sorpresa per il lettore, di quelle che talvolta fanno sobbalzare sulla sedia. Il penultimo era una sorta di poema epico in prosa sulla morte di Ulisse, «Nessuno», come l'eroe greco si nomina a Polifemo: una specie di poema «ciclico» scritto con due millenni e sette secoli di ritardo. Ulisse, ossia il più contemporaneo degli eroi del mito greco, è un uomo del decadentismo, (specialmente dopo Pirandello di «Uno, Nessuno e Centomila») il quale teme appunto di non avere sostanza ontologica. Parazzoli ha scritto libri di ogni genere, di narrativa, di saggistica, di meditazione religiosa. Finora è sempre stato considerato uno scrittore cristiano, anzi cattolico. Ma le certezze religiose assolute sono in pochi ad averle, e Parazzoli non è fra costoro. È anzi uno degli scrittori religiosi più lacerati e laceranti, come Dostoevkij, Bernanos, Eliot, Mauriac, come tutti gli scrittori che non sanno rinunciare all'idea di Dio, ma non si rassegnano neppure all'esistenza dell'enorme strato del male che ricopre la «terra devastata». In questi «Demoni» parazzoliani il malessere dello scrittore raggiunge l'acme. E questa è certo una delle ragioni per cui anche le strutture e i modi narrativi sono tutti stravolti, modellati non secondo l'idea classica di romanzo, ma piuttosto su un sentimento di caos universale, che vuol dare in qualche modo il senso dell'apocalisse, della fine della civiltà basata sulla pietà, la non violenza, l'ordine democratico, sul rispetto delle virtù cristiane e di quelle civili. L'apocalisse «caotica» di Parazzoli è ambientata a Milano. Anzi, soprattutto nel Piazzale Loreto, dove Parazzoli abita da molti anni, e che lui stesso giudica una delle piazze più brutte della metropoli lombarda. Tra l'altro ha un nome che tutti conoscono perché qui, sopra i tubi metallici di un distributore di benzina che non c'è più, furono esposti l'indomani della Liberazione, a testa giù, i cadaveri di Mussolini e della Petacci. Ma nel centro del racconto (se vogliamo chiamare «racconto» quasi duecento pagine scritte a ruota libera, secondo una struttura bizzarra inventata dallo scrittore) sia piazzale Loreto non preclude aperture abissali in esso, di natura cosmica, filosofica, metafisica. Tutto l'universo, per Parazzoli, è scosso, in maniera ordinata o caotica, da forze che lo tengono in una perenne febbre di movimento. Ma perché? Qual è il senso della realtà nel suo insieme? Le risposte religiose non convincono più l'autore. Sembra che il suo impegno sia quello di ridurle in macerie. Non si può accettare alla leggera che la realtà sia antropocentrica, ossia fatta per l'uomo, quando esiste da quindici miliardi di anni, mentre l'uomo è nato ieri. L'idea fondamentale di Parazzoli è quella di dare una sensazione del caos del mondo, di cui piazzale Loreto è un esempio e uno specchio, mediante brandelli bizzarri di narrazione; di un caos, anzi di una fine, aggravata dal fatto che è venuto meno del tutto il cristianesimo, che dava forme e senso alla nostra civiltà occidentale. Parazzoli non narra l'Apocalisse, perché sente che essa è già avvenuta, anche se gli uomini non se ne sono nemmeno accorti. Non racconta il diluvio, ma il dopo. E così nei «Demoni» troviamo uno zibaltone stravolto: frammenti della vita di Milano, personaggi come il «Gobbo» (un mitico edicolante del piazzale), piccola Butterfly una prostituta dell'hinterland milanese. Tutto è frammento, niente è concluso.