«Con meraviglia trovai fra l'altro l'edizione quasi completa delle opere del Muratori e una raccolta di libri dannunziani, alcuni con dedica del Poeta»
Anzi, di solito è il contrario. Sono dimenticabilissime, monotone, quasi tutte uguali l'una all'altra. Io amo il mare: ma non so nuotare e non mi piace il pesce. Mi piacciono i paesaggi marini, le gite in barca e le crociere; mi piacciono i pranzi all'ombra e le cene al chiaro di luna su terrazze davanti alla distesa azzurra. Il mio mare è il Tirreno toscano: ma mi sono piuttosto familiari anche la Riviera Ligure (specie le Cinque Terre), il mare di Capri e quello di Levante, tra l'isola di Cipro e la costa israeliana. Però, nella maggioranza delle "mie" estati, tutto quel che ricordo sono delle noiose mattinate sotto l'ombrellone, qualche gelato, dei giochi in spiaggia con le figlie ancora bambine. E buone, lunghe letture: questo sì. Diciamo la verità. Che barba. Ho naturalmente al mio attivo però anche parecchie estati avventurose, sia pur legate sempre a viaggi di studio. Soprattutto Medio Oriente e Asia centrale; ma anche Africa e America latina. Potrei intrattenervi con qualche racconto di peripezia che sul momento parve drammatico e a riraccontarlo, magari colorandolo un poco, sarebbe avvincente. Ma, chissà perché, è una strada il percorrere la quale non mi attrae. C'è poi un gruppetto di estati che amo in special modo: quelle passate lavorando tutto solo alla Bibliothèque Nationale di Parigi o in qualche College americano, dove facevo l'insegnante durante i Summer Stages. Lavoro, alcune belle cene, lunghe visite nelle librerie, cinema la sera; ebbene sì, perfino un flirt di tanto in tanto. «Dolce ne la memoria», come direbbe il Vate. Ma, diciamo la verità, non granché coinvolgente. Poi c'è naturalmente l'estate del mio primo amore, vissuta tanti e tanti anni fa, al tempo delle ultime Topolino e prima che arrivasse la Seicento, ma io avevo soltanto la Vespa di mio padre (che me la prestava molto a malincuore). Roba molto personale. Una vera estate indimenticabile, però, ce l'ho anch'io. È, per così dire, l'estate della mia formazione interiore e culturale: l'estate in cui è nato il mio panorama interiore. Intanto, fu davvero lunga: dalla metà giugno ai primi di settembre. Avevo quattordici anni e avevo già fatto - correva l'anno 1954 - tre viaggi all'estero: anzi, gite scolastiche. Austria, Francia, Spagna. Che poi non a caso sono rimasti (con la Russia e Israele, che sarebbero arrivati più tardi) i paesi che meglio conosco e che più amo al mondo. Davvero "mémoires d'outretombe", se pensate che ho fatto a tempo a conoscere la Spagna di Franco e l'Austria occupata dai sovietici, l'anno prima che morisse il grande Stalin. Quell'anno, però, mia madre aveva avuto - ancora abbastanza giovane - una precoce avvisaglia della malattia che l'avrebbe accompagnata poi a lungo, fino alla morte ventisei anni più tardi. La curava un vecchio signore amico di famiglia, un medico ormai in pensione del quale ricordo ma non dirà il nome: lo chiamerò il Dottore. La mamma si era sentita male all'inizio dell'estate. Il Dottore, che non aveva più un vero e proprio studio a Firenze perché si era messo più o meno sessantenne in pensione, e che aveva qualche soldo e qualche proprietà di famiglia ma non si era certo arricchito con la sua professione (medici d'una volta, quelli che curavano quasi sempre gratis e avevano lo stipendio come medici condotti o come ospedalieri), si era da poco ritirato in un vecchio casone di campagna. Voleva seguire da vicino la malattia della mamma: e propose a mio padre, suo vecchio amico, di trovare per lei e per me un appartamentino al suo paese. Il babbo avrebbe potuto raggiungerci il sabato e la domenica: c'erano delle belle trote che a lui, pescatore accanito, facevan gola. Così, nell'estate del '54, io ragazzino delle scuole medie con parecchio Salgari e parecchie fantasie prese dai western americani per la testa e qualche viaggio in Europa sulle spalle (non era cosa comune, allora: e ne andavo molto fiero), sc