«Io sono la natura»
Anche nel 2003, dopo l'anno scorso (con Giuliano Vangi e prima ancora con Umberto Mastroianni e Arnaldo Pomodoro), il prestigioso Praemium Imperiale giapponese, una sorta di Nobel delle Arti, viene infatti attribuito dalla Japan Art Association ad uno scultore italiano, Mario Merz. Oggi pomeriggio verranno infatti annunciati a Roma, Berlino, Londra, Parigi, New York e Tokyo, i cinque vincitori di questa edizione: per la pittura l'inglese Bridget Riley, per l'architettura l'olandese Rem Koolhaas, per la musica il nostro Claudio Abbado, per il teatro-cinema il regista Ken Loach e per la scultura,appunto, Mario Merz. A dir la verità Merz, nato a Milano nel 1925 e torinese d'adozione, non è uno scultore nel senso tradizionale del termine ma un demiurgico manipolatore di materie naturali, uno sciamano che cerca di mettere in rapporto le energie della natura con quelle dell'uomo. Merz, personaggio carismatico ed eccentrico, è uno dei maggiori esponenti dell'Arte Povera, nata alla fine degli anni Sessanta e ormai affermatasi a livello internazionale. Presenza ricorrente della sua ricerca è l'igloo, archetipo architettonico primitivo. Inoltre Merz usa spesso il neon, il vetro, l'argilla, il fango, la cera, oppure giornali accatastati e motociclette. In questi giorni si è inaugurata una sua mostra nel Forte del Belvedere di Firenze. E proprio qui lo abbiamo incontrato per parlare del Praemium Imperiale. Maestro, che cosa prova nel ricevere un riconoscimento così importante? «Una grande soddisfazione, ma non come qualcosa che premia il mio percorso del passato. È un segnale positivo per quanto sto facendo adesso, per il mio presente. Solo questo conta». In che modo l'arte può essere ancora utile al mondo? «Vede, io non sono un artista che lavora chiuso nel suo studio. Io faccio opere che sono dentro la vita del mondo. Io mi identifico completamente col luogo in cui vado a lavorare, divento di volta in volta romano o fiorentino o napoletano. Invece di pensare alla propria gloria ogni artista dovrebbe arricchire lo spirito del posto in cui arriva e stabilire un rapporto positivo col mondo». Si sente vicino o attratto dalla cultura e dell'arte giapponese, appunto fondata su un rapporto molto forte con la natura? «Da parecchio tempo io mi sento vicino a quel paese e al suo spirito, sento una vicinanza che va oltre la distanza data dagli oceani e dagli spazi terrestri del mondo». Pensa che l'Arte Povera abbia chiuso il suo ciclo storico o che sia ancora attuale? «Oggi è ancora più attuale che in passato. L'Arte Povera ci insegna ad opporci alla disumanizzazione tecnologica e antiumanistica del mondo contemporaneo, ci insegna a non prevaricare i nostri simili e le tracce del passato. Anche qui a Firenze, io non ho fatto un'opera per me ma per il Forte del Belvedere , per lasciare un modesto segno di rispetto verso questo spazio straordinario».