Molta Italia nelle sue vene

CINEMA argentino. Lo firma Carlos Sorin che, nonostante dei premi a qualche festival (per «La pelicula del Rey») e «Fergus O'Connor dentista in Patagonia») non era riuscito a farsi particolarmente apprezzare: per un linguaggio fra il surreale e il grottesco che stentava a proporsi come stile. Oggi resta in Patagonia, come nei suoi film precedenti, ma tende, annunciandolo anche dal titolo, a privilegiare un realismo minuto, vicino alle cronache più semplici. Tre «piccole storie», appunto. Una, quella di un vecchio, Justo, che dopo anni dalla sua scomparsa, continua a cercare il suo cane. L'altra, quella di Roberto, rappresentante di commercio che, aspirando al cuore di una bella vedova, pensa di regalare al suo figlioletto, per il suo compleanno, una bella torta. La terza, quella di Maria, una donna povera che ha vinto, in un gioco televisivo, la possibilità di partecipare a un concorso arricchito da vari premi. La meta di tutti e tre è una cittadina nel cuore della Patagonia dove debbono recarsi o facendo l'autostop (il vecchio), o con la sua auto scassata (Roberto), o in autobus (Maria). Naturalmente, andando nella stessa direzione, finiranno per incontrarsi, ma quasi soltanto costeggiandosi, senza che le loro «piccole storie» si intreccino veramente. La conclusione, per ciascuno, potrà dirsi in un certo senso positiva, anche se qualcosa, fra le pieghe delle loro vicende modeste, rimarrà in sospeso. Il viaggio, le lande di una desolata Patagonia attorno, incontri qualcuno buffo, qualcuno patetico, con una certa attenzione non solo per gli stati d'animo ma per l'evoluzione, al loro interno, delle singole psicologie. Più accennata che non detta comunque, e con il solo merito dell'alluso. Nonostante le cifre sempre realistiche. Gli interpreti sono quasi tutti non professionisti, però convincono, soprattutto Antonio Benedictis, il vecchio: con una maschera alla Charles Vanel.