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di LORENZO TOZZI CON UN ritardo di quasi vent'anni il Festival dei Due Mondi scopre il Tanztheater ...

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E lo scopre proprio come l'acqua calda, a giudicare dal fatto che ormai il teatrodanza tedesco appare in incontrovertibile picchiata, eccezion fatta forse ancora per la sola Bausch. Lo scopre però almeno nello spazio scenico di un teatrino alternativo come il Teatrino delle Sei e grazie ad una sparuta ma grintosa compagnia tedesca, la Fabrikcompanie, diretta dall'americano Jess Curtis. Una piccola compagnia di vigore atletico, prestante nel movimento quanto dinamica. In «Fallen» il tema centrale è quello della caduta, considerato in tutte le sue accezioni, da quella fisica così ben nota ai danzatori a quella amorosa sino a quella drammaticamente sospesa nel vuoto di persone gettatesi per sfuggire al fuoco (chiara allusione al drammatico rogo dell'11 settembre). In uno spazio scenico angusto ed opprimente, segnato dalla presenza di grandi cornici vuote appese al soffitto, di un violoncellista a mezz'aria su una finestra e qualche danzatore appeso a testa in giù ad una corda, Curtis tenta di raccontare quasi la metafora della vita umana, degli uomini come angeli decaduti, spiaccicati sul terreno (ne è traccia sui perimetri disegnati a gesso dei cadaveri come nei film polizieschi) che riprendono a vivere, ma ogni volta sono frustrati nel loro desiderio di volare dalla forza di gravità. Il loro desiderio desiderio di volare appare così come l'impossibile desiderio di un ritorno alle sue angeliche origini. Tutto, oggetti e corpi, appare destinato a ricadere verso il basso. Il clima è da Apocalipse now o da Day after con una umanità allucinata di sopravvissuti che riprendono a vivere dopo il tragico big bang. Su tutto incombe una sorta di maledizione non espressa sulla necessità (impossibilità) di vivere. Ma anche un senso talora grottesco e surreale che stempera i toni tragici del racconto rappresentativo. Spettacolo angosciante dunque ma non più della quotidiana vita dell'oggi reale.

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