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di FAUSTO GIANFRANCESCHI DALLE fronde dell'Ulivo spunta una proposta di legge per inserire ...

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La proposta è formulata dall'onorevole Giuseppe Pisicchio, dell'Udeur, il quale argomenta che dopo aver provveduto ai bisogni primari del cittadino, bisogna dargli anche la felicità. Ossia la felicità come bene garantito dalla legge. Sembra di tornare indietro di oltre due secoli, quando i philosophes si illudevano di aprire le porte a una nuova epoca beata. Da allora si sono accumulati tanti di quei disastri che l'idea della felicità per decreto è stata accantonata, anche se continua nascostamente a circolare nel «buonismo» di sinistra. Ora l'onorevole Pisicchio salta su a riproporre un vecchio, inutilizzabile arnese ideologico. La gioia per tutti come provvedimento pubblico cozza contro le più elementari considerazioni. Che cos'è la felicità, che cosa dà la felicità? Sono domande tutto sommato oziose, perché non parliamo di un elemento oggettivo, e come tale unanimamente definibile. Tante sono le teste o i cuori, e tanti sono i gusti, non tutti e non sempre apprezzabili; dipende dalle singole esistenze: per esempio un ladro è felice, almeno momentaneamente, quando un colpo va a segno. Ma non soltanto nel caso limite del furto o di qualsiasi reato, anche nella normale vita civile accade spesso che la fe1icità di uno sia l'infelicità di un altro: se in due amiamo la stessa donna, e se lei dice sì a me, io sarò (momentaneamente) felice, mentre l'altro soffrirà. Come dicevo, l'utopia della felicità indiscriminata per tutti è un frutto avvelenato del secolo dei Lumi: l'umanità liberata dai pesi e dalle catene che la impacciavano da secoli avrebbe finalmente conquistato i suoi pieni diritti, compresa una vita in letizia. E l'utopia, ossia l'astrazione dall'uomo reale, ha generato mostri. Proprio in nome di un'umanità migliore Hitler e Stalin hanno sterminato milioni di coloro che essi consideravano nemici del loro grandioso progetto felicitante. Anche nella storia della convivenza sociale l'utopia ha procurato guai, come è accaduto per il mito della «liberazione sessuale» che è stata ed è percepita quale diritto incontrastabile all'amore, mentre la realtà oppone un limite naturale impossibile da valicare: chiunque è libero di amare tutte le persone che vuole, ma niente e nessuno può costringere le persone amate a ricambiare. Questo ostacolo non previsto dal mito è all'origine, io credo, dello spaventoso incremento di delitti sessuali, specialmente tra i giovani. Anche qui, voglio dire, l'ideologia nega la verità delle persone, cui non si può imporre un modello astratto di esistenza, tanto astratto da risultare falsificante e deludente. D'altronde si vede che più, in base a criteri materiali, ci avviciniamo alla felicità, e più essa si allontana: non si può negare, mai in Occidente abbiamo goduto di tanto benessere, eppure, o forse proprio per questo, più che mai i malesseri spirituali e le depressioni dilagano. Ciò non accadrebbe se più fermamente si rimanesse nell'alveo culturale del Cattolicesimo, che è insieme una religione e una filosofia di vita, severa quanto si vuole (meno del Protestantesimo) ma fondata sulla realtà naturale e sui suoi limiti, mentre la promessa di felicità a ogni costo appartiene all'illimitato, non è di questa Terra. Certo, fortunatamente nella vita non mancano momenti felici, che però sono tali perché si svolgono su uno sfondo chiaroscuro. Gli spiriti più alti, non i filosofi da salotto, hanno sempre avvertito il dramma della condizione umana, specialmente i pensatori del moderno esistenzialismo. Per Heidegger la trama della vita è intessuta di cura, di ansia, di insoddisfazione; e non è detto che sia un male: senza il pulsare nel profondo di questo senso di inadeguatezza, mancherebbe il nutrimento principale per proseguire nella nostra avventura. In altre parole, se per assurdo fossimo tutti felici, il mondo si fermerebbe.

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