di ENRICO CAVALLOTTI CHE cos'è il Bello? e che differenza correrebbe, se mai ci fosse, fra ...
Ma esiste il Bello? oppure è flatus vocis che non trova corrispettivo nella realtà? Da qualcuno s'è asserito che una biancheggiante aurora, un grattacielo stelloso, una femmina procace, una melanconia di madonna, un tulipano nederlandese, un contrappunto bachiano a quattro voci, non sono di per sé né belli né brutti: sono quel che sono; è la nostra disposizione interiore, la nostra naturale attitudine poetica, a farceli apparire e giudicare belli, o brutti. Sotto tale profilo non esisterebbe neppure l'arte. Già, che diavolo è l'arte? Duole manco poco ammetterlo, ma non v'ha risposta. Non già una definizione, ma potremmo al piú osare un paragone. L'arte è come la bevanda per il sitibondo; il mangiarino per il famelico; il sesso per l'allupato; il mare per il pescatore; il sillogismo per il loico. L'arte è un balsamo a quel vivere che ci tocca: balsamo tra i pregiandi e meno sofisticati. Coll'arte si dà corpo ad utopie, svolazzi e rabeschi dell'anima. L'arte: un ghirigoro, ad avviso d'alcuni; una «religione», a parer d'altri. A forza di discuterne, e di non venire a capo di nulla, la scienza che s'interessa dell'arte, vale a dire l'estetica, s'è accasciata depressa, sul punto di sfarsi: vanificando millenni di passionati ragionari, di lucubrazioni spericolate e fanatiche, d'autogeneranti contraddizioni. Sòrte barbina, a meditare sui trionfi oggidiani dell'economia, della fisica, della psicologia, della chimica, della semiologia etc... etc... Del resto, a difesa dell'estetica noteremo che tra le godurie dei bipedi si contempla ab origine il parlare di ciò che non esiste come se esistesse: taluni la chiamano «teoria», ch'è elegantissimo divago, altri «follia», ch'è virtuosistica divagazione della ragione, nient'affatto prolata al caso. Ed ecco, a riprova, che a parlare d'arte e di bello invita Francesco Sisinni un gruppo d'illuminati studiosi e specialisti, sí che avendo il Sisinni anteposto un fulminante e densissimo excursus dell'estetica dai padri greci agli orfani contemporanei, Vittorio Mathieu riflette sulla bellezza nella filosofia, e Paolo Portoghesi sulla bellezza nell'architettura, e Maurizio Calvesi sulla bellezza nell'arte, e via seguendo Gallo, Malato, Monterosso, Marchegiani, Scotti, Di Giacomo, Fagiolo, Cappelletti. Il lettore di tali «Riflessioni sulla Bellezza» (De Luca Editori, 140 pagine, sps) spazierà dall'ideale poetico della semplicità propugnato da Pericle al concetto d'armonia quale «partium congruentia» e «debita proportio», giusta la visione classica; dal fine dell'arte come ascesi all'Assoluto,additato da Plotino all'affermazione del bello estetico come espressione sensibile dell'Assoluto, secondo la monumentale teoresi dell'Idealismo classico tedesco, cui s'abbeverarono idealisti postumi quali Croce e Gentile. Alla fine, a tirar le conclusioni, o sia a voler stringere della concretezza nelle sudate mani, un pugno di mosche; sí, la sensazione d'aver scarpinato o pedalato per continenti intieri senz'aver cavato un ragno dal buco: dicesi anche un acciaccar l'acqua. Resta la consolazione, ancorché infida e fugace, che la stessa filosofia, regina di tutto il pensabile, arranca e arranca né mai si muove dal punto di partenza: al paro del fugace ed infido esistere.