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FELLINI: SONO UN GRAN BUGIARDO, di Damian Pettigrew, documentario di lungometraggio, Francia-Italia-Scozia, 2002.

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Il lungo documentario di oggi, però, che il regista canadese Damian Pettigrew ha costruito mettendo insieme delle interviste realizzate fra il '91 e il '92, nobilita in parte queste bugie con una teoria, peraltro già nota, esposta dal loro stesso autore. Rimini, ad esempio, dice a un certo momento Fellini, io nei miei film l'ho quasi tutta inventata, ma quella io la vivo meglio perché, per me, è molto più vera. L'arte come invenzione, insomma, sempre pronta a trasfigurare la realtà, la chiave vera di tutto il cinema di Fellini. Questa chiave Pettigrew la fa emergere non solo dalle tante dichiarazioni del regista che inserisce nel suo racconto, ma anche, pur andando spesso fuori tema, ascoltando in parallelo con lui certi interpreti dei suoi film, da Donald Sutherland per il «Casanova» a Terence Stamp per «Tre passi nel delirio». Mentre sostiene (o contraddice) le loro affermazioni con immagini anche di altri film del regista, soprattutto «Otto e mezzo», intercalandovi dei «si gira», qualcuno anche inedito, certe scene poi tagliate al montaggio e certi paesaggi a colori. Veri in Toscana, in Romagna, a Roma, contrapposti in bianco e nero alle immagini con cui Fellini li aveva poi interpretati nei film. Certo, un esperimento di biografia dal vivo (Pettigrew ne ha già tentati altri con Ionesco, Calvino, Moravia e Moebius) che interesserà chi di Fellini sa poco o niente, pur continuando a non saper molto dei suoi film. Chi invece l'ha conosciuto e sa tutto, non vi troverà niente di nuovo. Neanche nelle interviste. G. L. R.

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