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Uno scrittore che rifugge dallo sterile compianto

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Per questa ragione, i primi due testi di Montesano, «A capofitto» (1994) e «Nel corpo di Napoli» (1997), quest'ultimo dal titolo che echeggia un po' qualche antico romanzo, per esempio di Matilde Serao, hanno riscosso molti plausi dalla critica e dal pubblico di lettori: la valanga di premi letterari ottenuti (Napoli, Super Premio Vittorini, La Torre, scommesse sul futuro come finalista al Premio Strega) ne danno conferma e dimostrano in fondo quanto fosse necessario rinnovare e rigenerare quel tipo di letteratura. Molto hanno influito su tale processo innovativo dello scrittore, le traduzioni dal francese di autori a lui congeniali, ma al contempo utili come laboratorio di scrittura in proprio, due su tutti, Baudelaire e Flaubert, maestro indiscusso quest'ultimo di tanta vasta area del romanzo del Novecento, soprattutto per via di quell'invito a servirsi della realtà come specchio dell'invenzione, del capriccio, della fantasia linguistica. Dall'altra parte, la frequentazione di Gautier o di La Fontaine gli è servita a sostenere il peso della verità storica col supporto del fantastico. W. M.

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