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di LORENZO TOZZI SI CHIAMA «Silent connessions» lo spettacolo presentato al Teatro delle ...

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Ma poteva chiamarsi «Body and the City», visto che è imperniato su una analisi del cangiante rapporto tra il corpo e la città, secondo una linea di ricerca cara da tempo all' autore. Si ispira molto liberamente alle «Città invisibili» di Italo Calvino, itinerario visionario e poetico, complice una musica astratta, talune frasi dello stesso Calvino recitate fuori campo e il «fil rouge» di un violino solista. In diversi quadri Flamand ridisegna in cangianti spazi e quadri questo viaggio onirico grazie alla sua dinamica compagnia, «Charlerois-Danses», con una struttura mutevole costituita di pannelli disegnati dal californiano Thom Mayne, che a tratti costringono e determinano i passi dei danzatori. Dinamica, a scatti, incessante come un supplizio infernale la coreografia, che segue la narrazione immaginaria con pochi tratti allusivi (per altro deducibili solo dalle note di sala), delineando la città come un labirinto in cui il destino degli anonimi abitanti è sinistramente quasi giocato su una scacchiera proiettata sul palco, ma anche un terreno di scontro e di scambi di tutti i tipi, uno spazio dotato di caverne e corridoi sotterranei, di proibizioni e barriere architettoniche, all'insegna della integrazione e multilinguismo della globalizzazione, non senza allusioni al neoimperialismo economico statunitense. Insomma uno spettacolo con una danza già più volte vista nel genere cosiddetto post-moderno da essere ormai diventata tradizione, poco leggibile ed incisiva , ma comunque di grande impatto sul pubblico, equamente distribuito su due lati frontrali del palcoscenico. In definitiva uno spettacolo sulla contemporaneità, o meglio sulla problematica della contemporaneità, supertecnologico e multimediale, aggiornato, ma più didascalico ed apocalittico che poetico anche se lascia adito alla speranza.

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