di FAUSTO GIANFRANCESCHI HO LETTO con molto interesse, in questa pagina, gli articoli di ...

L'argomento, in sé provocatorio, merita di essere attentamente commentato e approfondito. Dico subito che io non mi strappo i capelli se autori come Moravia, Vittorini, Pratolini non trovano più posto nella memoria collettiva, dopo aver vissuto facili, troppo facili, trionfi. Era inevitabile che accadesse; mentre secondo me, come dirò, i veri scandali sono altri. Uboldi e la Chichi si limitano ad accennare al motivo dell'attuale disattenzione: gli autori totalmente o in parte dimenticati pagano lo scotto di una presenza talvolta eccessiva, di una sovraesposizione mediatica, quando erano in vita. È un modo elegante e soffice per dire qualcosa di molto più grosso che non bisogna avere paura di ricordare: la presenza eccessiva e la sovraesposizione significano che la celebrità ridondante di certi autori derivava molto di più dalla loro militanza politica (comunista) che dalla qualità delle loro opere. Non amo i discorsi generici, preferisco la citazione del particolare. Si provi a rileggere «La noia» o «Io e lui» di Moravia, e il tedio sarà tale che ci si stupirà del loro passato successo, mentre non ci si stupirà che Moravia sia ora dimenticato. Si provi a rileggere «Metello» di Pratolini, che fu annunciato come il primo romanzo marxista italiano, mentre era una storiella fumettistica che indusse qualcuno a definire il protagonista un eroe più da camera da letto che da Camera del Lavoro. Si provi a rileggere qualche testo di Vittorini, magari «Il Sempione strizza l'occhio a Frejus», e ci si accorgerà che l'autore non fa altro che rimasticare stucchevolmente gli stilemi della tradizione primo-novecentesca americana; e per dire come erano le proporzioni (o le sproporzioni) appena vent'anni fa, si dia un'occhiata all'Enciclopedia Garzanti della letteratura, stampata nel 1985, e si vedrà che a Vittorini è dedicato uno spazio tre volte maggiore di quello intitolato a Buzzati, un grande del Novecento i cui libri vengono incessantemente ristampati, mentre Vittorini è scomparso. Non voglio dire che questi autori non contino niente nella cultura italiana: hanno le loro buone pagine, hanno compiuto le loro buone azioni (proprio Vittorini ha avuto il merito di far conoscere la letteratura americana, in periodo fascista, con una famosa antologia). Ma a causa dell'impegno i loro libri furono troppo esaltati, per cui era fatale che la loro fama si sgonfiasse. Un vero scandalo, piuttosto, è che siano dimenticati altri scrittori molto più importanti di quelli citati da Uboldi e dalla Chichi. Penso a Carlo Alianello, autore degli splendidi romanzi «L'Alfiere» e «L'eredità della Priora»; penso a Guido Morselli che con il grande romanzo «Il comunista» ha svelato a futura memoria le chiusure psicologiche e l'ottusità intellettuale del Pci. Alianello e Morselli non militarono politicamente, per cui l'alta qualità della loro opera ancora non supera la censura occulta.