Addio dirty: Jagger aerobico canta «Brown Sugar» per 50 mila
000fans rotolanti che pendono dalle sue labbra. Si è celebrato così l'altra sera a Milano l'unico tributo italiano al quarantennale dei Rolling Stones, rockband tutt'altro che giunta alla soglia dell'età pensionabile e in grado di dettare ancora oggi, alla faccia degli scettici e di facili commenti ironici, le regole del rock e delle sue cerimonie. Dismesse le calzamaglie e i colpi di scena baroccheggianti, Jagger introduce, sulle note di «Brown sugar» uno show futuristico, ostentando il suo proverbiale fisico asciutto e aerobico: non è più tempo di essere sporchi, duri e drogati, meglio essere tecnologici, supercontrollati e sofisticati. Lo stilista leccese Ennio Capasa ne cura il look, a partire dai jeans elasticizzati a vita bassa (tanto per esibire meglio il ventre piatto e per essere più scattante nei movimenti) e una t-shirt con il disegno di un leone, a proposito di gladiatori del rock. «Buonasera Milano - è sempre il cantante del gruppo a fare gli onori di casa mentre Charlie Watts resta impassibile alla sua batteria - allora vogliamo divertirci?» e, dopo «Start me up», come a dire «adesso si parte sul serio», scorrono un successo dopo l'altro: «Miss you», «You got me rocking», «Out of control», «Angie», «You can't always get what you want», e la nuovissima «Don't stop» mentre una microcamera inserita tra le corde della chitarra di Ron Wood ne riflette, sugli otto megaschermi alle spalle del palco, le prodezze e i virtuosismi. Jagger passa da un giubbotto viola tinto con una tecnica naturale che si usava nientemeno che in Ciociaria a una camicia di seta turchese, il suo colore porta fortuna. Stesso rito per i cambi di Keith Richards, anche se è quello più impacciato, spesso colto mentre cerca di abbottonarsi la camicia o a recuperare l'accendino, lanciato in qualche angolo del palco ad ogni sigaretta. Protagonista della parte centrale del concerto, tanto per dar fiato all'amico fraterno, Richards si cimenta con due brani dei suoi album solisti, «Thru and thru» e «Happy». Per ogni canzone una chitarra diversa, ne accarezza il manico e sentenzia: «That's Ok», poi sorride al pubblico intergenerazionale e aggiunge «Questo è un miracolo». Fuochi d'artificio e coriandoli rossi salutano l'esibizione, culminata nei brani più infuocati: «Sympathy for the devil», «Street fighting man» e l'eterna «Satisfaction». Traspare, soprattutto nei ragazzi che non li avevano mai visti prima, la consapevolezza dell'occasione storica: potrebbe essere l'ultima volta. Ma nessuno, a questo punto, è più pronto a scommetterci.